Gustave Le Bon nel 1895 pubblica a Parigi un testo destinato a fare scuola: Psychologie des foules. L’antropologo francese annuncia l’era delle folle, mette in luce l’incapacità della moltitudine di prendere decisioni razionali, la folla costituisce una forza a sé in cui tutte le decisioni che vengono prese non sono da attribuire ai singoli uomini ma alla sua somma, un’indefinita massa in cui le singole parti non percepiscono come propria la responsabilità delle azioni fatte in gruppo. Illuminanti sono le sue parole sui giudizi:
I giudizi che esse [le folle] accettano sono sempre giudizi imposti e mai giudizi discussi. Da questo punto di vista sono numerosi gli individui che non sanno elevarsi sopra il livello delle folle. La facilità con cui certe opinioni si diffondono deve essere collegata soprattutto all’impossibilità, per la maggior parte degli uomini, di formarsi un’opinione personale, basata sui propri ragionamenti.
L’emotività delle folle
L’emotività che caratterizza le folle è per natura irrazionale, questo stato emotivo porta grandi gruppi di persone ad un culto fanatico di uomini e partiti che travalicano la politica per sfociare in culti religiosi, accettati come veri per fede e non su base razionale. Continua Le Bon:
Le convinzioni delle folle assumono quei caratteri di sottomissione cieca, di intolleranza selvaggia, di bisogno di propaganda violenta, tipici del sentimento religioso; si può dire che tutte le credenze delle folle hanno forma religiosa. L’eroe che la folla acclama è per essa veramente un dio.
Il risultato di questo fanatismo è oggi facilmente ravvisabile sui social network, luoghi virtuali in cui volano insulti pensati, parole che normalmente non verrebbero pronunciate di persona. La violenza del linguaggio sui social denota l’adesione cieca ad un’idea che viene difesa a spada tratta a prescindere dalla realtà e dalle responsabilità politiche degli uomini che vengono difesi. Si arriva al paradosso in cui le stesse vittime di politiche nefande, finiscono per difendere i responsabili solo per un’adesione emotiva a quel partito, nella maggior parte dei casi giustificata unicamente da un’avversione nei confronti di un altro partito.
Il fallimento della razionalità
Ogni tentativo di spiegare razionalmente sulla base dei fatti le responsabilità di un partito ad un suo sostenitore, viene vanificato in partenza; è come chiedere a un fervente fedele di smettere di credere in Dio. È ancora Le Bon a scrivere
Una catena di ragionamenti rigorosi sarebbe totalmente incomprensibile alle folle e per questo è concesso dire che esse non ragionano o ragionano a vuoto, e non sono influenzabili da un ragionamento.
Molti partiti, consapevoli della presa che suscitano le emozioni sulle masse, basano la loro campagna elettorale non più sull’offrire soluzioni reali, ma solo sul suscitare emozioni e aizzare gli uomini contro un nome, un simbolo; viene incanalata la rabbia su una persona convincendo parte della popolazione che le responsabilità di ogni sciagura sono attribuibili a un determinato uomo, un determinato partito, a prescindere dalla realtà.
Negli alfieri dell’ideologia politicamente corretta l’emotività viene amplificata all’ennesima potenza, su questioni che riguardano immigrati, omosessuali o donne si utilizzano due pesi e due misure e ciò che prevale nei giudizi non è il fatto in sé ma la categoria a cui appartengono i soggetti, le suddette categorie vengono spesso trattate aprioristicamente come vittime.
Ci sono delle distorte eccezioni: se a essere insultata è una donna di destra, non viene difesa in quanto donna ma prevale la sua appartenenza politica, di conseguenza non va difesa; stessa cosa per il colore della pelle, il senatore di origine nigeriana Toni Iwobi è stato insultato dalla sinistra in termini di ‹‹negro-verde asservito alla Lega››, anche in questo caso l’isteria politica mette da parte il colore della pelle e fa prevalere il colore politico. Il trionfo delle emozioni in politica vanifica la razionalità e con essa anche la coerenza. Questo nasce da una visione manicheistica delle politica di cui ho già scritto.
L’emotività delle masse ucciderà la civiltà occidentale?
Le Bon arriva alla conclusione che l’avvento delle folle forse segnerà una delle ultime tappe delle civiltà occidentali, perché a differenza della piccola aristocrazia intellettuale che fino quel momento aveva governato la società, le folle non possiedono cultura, preveggenza e razionalità.
Sul punto della cultura possiamo dissentire con Le Bon (la società è cambiata radicalmente negli ultimi 120 anni) e affermare che l’irrazionalità è indipendente dalla cultura.
Provando ad essere più ottimisti potremmo concludere con le parole del filosofo confuciano Nakae Toju (1608-1648) ‹‹Governare la mente di persone ignoranti e illuse come quelle attuali è paragonabile a rendere limpida dell’acqua torbida. Più la agiti, più si intorbidisce. Se smetti di agitarla e lasci che si depositi, le sostanze inquinanti scendono naturalmente sul fondo e l’acqua in superficie diventa limpida.›› Insensibili ai ragionamenti, forse è con il tempo che l’emotività può venire meno.
(di Umberto Camillo Iacoviello)