L'ipocrisia progressista della propaganda contro "l'odio"

L’ipocrisia progressista della propaganda contro “l’odio”

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Di recente, l’attenzione di politici e dei mass media è particolarmente focalizzata sulla presunta necessità di combattere l’odio. Il mantra quotidiano dell’amore universale viene inculcato con insistenza e prepotenza, divenendo in sostanza esso stesso una sorta di incitazione all’odio contro l’odio.

La lotta contro “l’odio”

La Commissione Segre è l’ennesimo tentativo di bandire qualsiasi tipo di atteggiamento ostile nei confronti di individui, idee, eventi e via dicendo. Ma vi erano già stati tentativi ben più invasivi, in tal senso: come non dimenticare la proposta di Gilberto Corbellini, dirigente del Cnr, di drogare con l’ossitocina gli italiani per renderli più tolleranti al fenomeno migratorio?

È evidente che la propaganda contro l’odio, condotta all’estremo, non può che sfociare in una variante ancora più pericolosa di odio, quella – per inciso – che indossa la maschera della tolleranza e dell’amore, e che vuole insinuarsi nelle fibre più intime e istintive della psicologia umana.

Punibile è la violenza, non l’odio

Punire l’odio è sensato tanto quanto lo è punire il senso di repulsione che proviamo verso certi tipi di alimenti, di persone che ci stanno particolarmente antipatiche, di colori che non ci piacciono, e così via. Il problema reale – ça va sans dire – non è quindi l’odio, ma l’insieme di tutti quei mezzi telematici che permettono di sfogarlo in maniera anonima, suscitando nell’odiatore di turno un senso di deresponsabilizzazione e di immunità penale che lo induce a reiterare la condotta.

E c’è bisogno di una Commissione Segre per questo? Non basterebbe applicare le sanzioni previste dal codice penale italiano in materia di cyberbullismo, cyberstalking e diffamazione tramite l’utilizzo di strumenti telematici? Per quale motivo creare una Commissione di cui non abbiamo assolutamente bisogno?

Forse l’utilizzo ideologico del linguaggio permette a una certa politica di inserire nella categoria “odio” ogni espressione di dissenso, in modo tale che le idee non conformi al loro concetto di “amore” siano paragonabili ad atti di violenza veri e propri?

Se così fosse, inutile specificarlo, la Commissione contro l’odio della Segre si rivelerebbe un’arma micidiale nelle mani degli haters più pericolosi in assoluto: quelli che odiano il popolo.

I progressisti? I peggiori haters

Col pretesto di combattere l’odio, i finti progressisti tentano di allargare lo spettro dei reati di opinione. Anche quando l’avversione verso le politiche immigrazioniste ed europeiste viene espressa attraverso il voto legittimo, gli haters del popolo perdono le staffe.

Eppure Boris Johnson, accusato di essere un seminatore di odio, razzista, sessista e omofobo ha trionfato proprio per aver ascoltato il malcontento dei britannici nei confronti dell’egemonia franco-tedesca all’interno dell’UE, della sua politica a favore di un’immigrazione incontrollata.

Ma anziché rispettare la volontà di un popolo sovrano che pacificamente rifiuta le politiche globaliste, i paladini dell’antirazzismo e dell’antifascismo non si sono fatti attendere e si sono accaniti pesantemente contro “i poveracci che hanno votato per farsi del male, prima con la Brexit nel 2016 e ora votando per un bugiardo di nome Johnson”.

Questa l’accusa di Alan Friedman che, non contento, si permette anche di insultare gli elettori twittando: “FT analisi mostra che Johnson ha vinto più voti laddove le gente è meno istruita e i lavoratori sono poco qualificati” con tanto di hashtag #Ignorant e #FearOfImmigrants; il popolaccio inglese, insomma, voterebbe male perché xenofobo e ignorante.

Lo stesso Friedman, tuttavia, non nasconde l’ammirazione per il movimento delle sardine; loro sì che “vogliono mostrare che la società civile in Italia esiste”, non come quei zoticoni sovranisti a cui piace la goffaggine teatrale dei propri politici (parola di Severgnini).

(di Flavia Corso)

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