Una battaglia persa. È incorreggibile Roberto Saviano che, mai sazio di brutte figure, proprio non riesce a tenere a freno la sindrome da tuttologo che lo attanaglia.
Le cose stavolta devono essere andate più o meno così: il buon Roberto avrà visto (o forse gli avranno raccontato) un incontro di boxe vinto da un obeso americano di origini messicane contro il campione del mondo dei pesi massimi.
A quel punto dunque, forte della sua profonda conoscenza del mondo pugilistico (avendo forse visto per ben due volte Rocky e una volta anche Rocky 4), avrà pensato di scriverci un articolo. Quale migliore occasione, d’altronde, di un “messicano semisconosciuto” che batte il campione per rilanciare la propaganda filoimmigrazionista anti-Trump?
Peccato però che il “pugile di origini messicane semisconosciuto”, seppur sfavoritissimo al confronto del campione Anthony Joshua, non fosse proprio l’ultimo dei fessi, come lo scrittore lascia intendere, ma il n. 14 del ranking mondiale.
E chi mastica un po’ di boxe Andy Ruiz Jr lo conosceva eccome. 34 incontri da professionista all’attivo, con 33 vittorie (22 per KO) e una sola sconfitta.
Glielo fanno notare in un commento.
Grigorij va oltre e, con un esaustivo commento invece, smonta compeltamente la retorica di Saviano, facendo anche notare come nessuno insultasse il pugile di casa (nato e cresciuto negli USA).
Anche la narrazione antirazzista ha pochissimo valore. Anthony Joshua stesso è un britannico di origini nigeriane. D’altronde la boxe i conti col razzismo li ha fatti già quando Jack Johnson schiantò Jeffries nel 1910, e i pugili messicani (per non parlare di quelli di colore) sono tra i migliori di questo sport: da “Canelo” Alvarez a Leo Santa Cruz e Miguel Berchelt, volendo rimanere ai soli “in attività”.
La retorica “savianesca” stavolta ha dunque proprio mancato completamente bersaglio. Un colpo a vuoto clamoroso, con una serie di critiche, quelle sì, da KO come un destro di Rocky Marciano. Appunti arrivati anche da nomi noti del mondo pugilistico come Marco Nicolini.
A ben pensare però, fa notare Andrea, una favola simile a quella che voleva raccontare Saviano c’è stata. Ed è stato l’incontro che ha ispirato Stallone per scrivere la sceneggiatura di Rocky. Da un lato del ring uno che semisconosciuto lo era sul serio Chuck Wepner, “il sangiunolento di Bayonne”, dall’altro la leggenda Muhammad Alì. Wepner resistette ben 15 riprese e riuscì anche a mettere al tappeto il campione al nono round. Ma Chuck era bianco e la narrazione strumentale della realtà non avrebbe potuto trovare fondamento nei Saviano dell’epoca.
Come a un pugile suonato dunque, che ha avuto la cattiva idea di confrontarsi a muso duro con Mike Tyson, invitiamo Roberto Saviano a sedere all’angolino, sperando si renda conto, prima o poi, che a fare i tuttologi si rimediano solo tante brutte figure.
(di Simone De Rosa)