Triste realtà del lavoro agricolo: “Sei italiano, non mi servi !”

Nelle campagne della provincia bresciana è stata condotta un’inchiesta giornalistica, pubblicata dal Giornale di Brescia: c’è posto, per un italiano, come lavoratore agricolo? Il risultato è stato quanto mai funesto.

Un ragazzo si è presentato ai datori di lavoro della zona, portando il curriculum vitae e chiedendo la possibilità di essere assunto: in queste campagne del bresciano, ci sono molti lavori disponibili, anche per chi non ha mai lavorato nel settore.

Alcune mansioni, per la loro semplicità, possono essere svolte anche da chi è unicamente provvisto di molta voglia di lavorare e buona volontà; soprattutto nel periodo fra agosto e settembre, le campagne brulicano di immigrati – forse indiani – già all’opera alle prime ore dell’alba.  Entrando nel primo fondo, il nostro in cerca di lavoro viene avvicinato da uno straniero, forse un “responsabile” e sicuramente non il proprietario del campo.

Appena nota che si tratta di un italiano dice: “Sei italiano, non mi servi. Qui abbiamo alcune regole, so che non ti va bene”. A nulla valgono i tentativi posti in essere dal ragazzo il quale, insistendo, specifica che ha già esperienza nel settore, difatti l’uomo gli risponde così: “Ho già avuto italiani, facevano troppe richieste”. Della serie: qui ci servono schiavi.

Un’esperienza simile è stata raccontata dal signor Raffaele sempre per il giornale bresciano: “Ho mandato mio figlio, studente di 21 anni, per fare vendemmia ma è stato rifiutato, così come l’altro ragazzo italiano che era presente lo stesso giorno”.

Nelle campagne di Brescia, la situazione pare essere identica al resto della nazione, specialmente se si pensa al Mezzogiorno: il giornalista, incontra più avanti il 25enne pakistano Rasib. Iniziando il suo turno alle 6 del mattino e terminandolo alle 18, ha guadagnato 35 Euro con due ore di pausa: un bilancio dunque di 10 ore a 3,50 Euro l’una. “Ti pagano in nero”, racconta, “soltanto se sono pochi giorni di lavoro. Sennò ti fanno contratti per meno ore, ma lavori lo stesso tutta la giornata. Poi tutti gli attrezzi e i guanti devi comprarli, non te li danno”. Legge e diritti distrutti in un sol colpo.

Il giovane Rasib ha, come se non bastasse, persino un contratto di lavoro part-time perciò tutto il resto lo percepisce fuori dalla busta paga, a nero.

Alberto Semeraro, il segretario generale della Flai Cgil bresciana, ha descritto la realtà dell’agricoltura locale: “In Franciacorta siamo soprattutto in presenza di multinazionali, che difficilmente sono disposte a compromettere il brand cedendo all’illegalità”. Concludendo il suo racconto, mostra quanto tale dato strida con la quotidianità di tanti altri lavoratori: “In quella zona ci sono colture che richiedono manodopera non specializzata ed è molto più semplice prendere ragazzi indiani, pakistani e senegalesi che non hanno qualifiche né grosse aspettative”.

Sotto il sole cocente e curvati dal peso del lavoro della campagna, le nuove vittime dello sfruttamento globalizzato sono innumerevoli: non solo gli immigrati sono usati come utile strumento per ridurre i costi di produzione, annientando i diritti dei lavoratori, con paghe risibili e frodando in toto o in parte la legge, ma gli stessi italiani volenterosi sono messi alla porta perché ritenuti “troppo esosi” o “poco remunerativi”.

Presupposti assurdi se si immagina il fatto che il lavoro si basa sul rispetto delle necessità dei lavoratori, sulla legge, e non può svolgersi in contrasto col benessere sociale generale. Tutto viene annientato, nel nome del profitto e adoperando le frontiere colabrodo come una mazza ferrata per distruggere diritti, doveri e livelli salariali, escludendo persino connazionali dai settori produttivi: l’armata dei lavoratori di riserva viene fatta marciare, sotto il “dolce” suono dell’immigrazione sregolata.

(di Pietro Vinci)