Il mondo ha bisogno di realisti (Stephen M. Walt)

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Una delle cose più ironiche del pensiero contemporaneo statunitense sulla propria politica estera è la strana condizione in cui versa il realismo. Da una parte, la teoria realista resta uno dei pilastri dell’insegnamento universitario sulle relazioni internazionali (assieme ad altri approcci), e gli ufficiali del governo spesso dichiarano che le loro azioni sono basate su qualche sorta di approccio “realistico”. Ma Washington resta per la maggior parte una zona “realism-free”, con pochi veri realisti nelle posizioni di influenza. Oltretutto, la prospettiva realista è quasi completamente assente nelle decisioni degli alti comandanti americani. Questo articolo, e gli scritti coerenti e profondi di persone come Paul Pillar o Jacob Heilbrunn, non compensano l’esclusione del realismo dal New York Times, dal Washington Post o dal Wall Street Journal.

Invece di affidarsi al realismo, sia i Repubblicani che i Democratici tendono a vedere la politica estera attraverso la lente dell’idealismo liberale. Piuttosto di vedere la politica mondiale come un’arena dove la sicurezza è scarsa, e dove le maggiori potenze sono costrette a combattere, che lo vogliano o no, gli esperti di politica estera statunitense dividono grossolanamente il mondo in alleati virtuosi (generalmente democrazie) e avversari malvagi (sempre qualche sorta di dittatura), e sostengono che quando le cose vadano male sia perché qualche leader straniero cattivo (Saddam, Khamenei, Putin, Gheddafi, etc.) sia avido, aggressivo o irrazionale. Quando gli stati amici criticano qualcosa che gli Stati Uniti (i buoni) stanno facendo, i leader americani tendono a presumere che i critici non capiscano i loro nobili obiettivi o che siano gelosi del successo statunitense.

Ammetto che la presidenza Trump sia una sfida importante per i realisti. Non è facile conciliare l’approccio incoerente e maldestro di Donald Trump negli affari esteri con l’idea che gli stati perseguano gli interessi nazionali in maniera più o meno razionale o strategica. Trump ha dimostrato di essere molte cose -ostinato, vanitoso, disonesto, impulsivo, narcisista, ignorante, etc.- ma, quando si pensa alla sua politica estera, “razionale” e “strategico” non sono due termini che vengono in mente. Il realismo enfatizza anche i fattori esterni, come l’equilibro di poteri e la geografia, e ridimensiona il ruolo dei singoli leader. Ma la presidenza Trump è un eloquente e preoccupante promemoria dei danni che i singoli individui possono compiere, specialmente quando sono convinti che loro siano “l’unica cosa che importa”.

Nonostante ciò, l’incompetenza di Trump in sé non è una ragione sufficiente per mettere da parte il realismo. Per prima cosa, il realismo ci aiuta ancora a capire come Trump possa cavarsela con tutto questo disastro: gli Stati Uniti sono ancora così potenti e sicuri da poter fare un sacco di cose stupide, e subire solo perdite modeste. Cosa più importante, il realismo rimane un’ottima guida per comprendere molte cose avvenute nel passato e altre che stanno avvenendo oggi. E, come Trump ci dimostra ogni settimana, i leader che ignorano queste cose finiscono per fare un sacco di errori stupidi.

In poche parole, è ancora molto utile essere un realista. Lasciatemi spiegare perché. Il realismo ha una lunga storia e molte varianti, ma il suo nucleo si basa su una serie di idee precise. Come dice il nome stesso, il realismo cerca di spiegare le politiche del mondo per come esse sono realmente, invece di descriverle per come dovrebbero essere. Per i realisti, il potere è il nucleo della vita politica: anche se ci sono in gioco molti altri fattori, la chiave per comprendere la politica consiste nel capire chi detiene il potere e come lo usa. Il famigerato avvertimento degli ateniesi ai milesi racchiude perfettamente questo concetto: “il forte fa ciò che può, il debole patisce ciò che deve”. Quentin Tarantino non sarebbe riuscito a spiegarla meglio.

Per i realisti, gli stati sono gli attori chiave del sistema internazionale. Non esiste alcuna autorità centrale che possa proteggere gli stati l’uno dall’altro, quindi ogni stato deve fare affidamento solo sulle proprie risorse e le proprie strategie per sopravvivere. La sicurezza è una preoccupazione perenne -anche per gli stati più potenti- e gli stati tendono a preoccuparsi molto di chi sia più debole o più forte di loro, e di quali siano i trend di potere. La cooperazione è tutt’altro che impossibile in questo mondo -e in effetti, spesso la cooperazione è essenziale per sopravvivere- ma è sempre, in qualche modo, molto fragile. I realisti sostengono che gli stati reagiranno alle minacce prima cercando di “fare lo scaricabarile” (ad esempio, lasciando che qualcun altro cerchi di risolvere il pericolo emergente), e, se la cosa fallisce, cercheranno di attrezzarsi contro la minaccia, sia cercando alleati, sia mettendo insieme le loro risorse.

Il realismo non è l’unico modo di comprendere gli affari internazionali, ovviamente, e ci sono gran numero di teorie e prospettive alternative che possono aiutarci a capire i diversi aspetti del mondo odierno. Ma se pensate come dei realisti -almeno per una parte del tempo- molti aspetti confusi del mondo saranno più facili da capire.

Se pensate come un realista, per esempio, capirete perché l’emergere della Cina sia un evento critico e, facilmente, una fonte di conflitto con gli Stati Uniti ed altri. In un mondo dove gli stati devono proteggere sé stessi, i due stati più potenti del mondo si terranno d’occhio a vicenda e competeranno affinché uno non rimanga indietro, o diventi troppo vulnerabile, rispetto all’altro. Anche se si eviterà la guerra, risulterà comunque una grande competizione per la sicurezza.

E, a proposito della Cina, pensare come un realista vi aiuterà a capire perché la Cina non sia più sulla linea di Deng Xiaoping della “crescita pacifica”. Quell’approccio aveva senso quando la Cina era più debole, e ha ingannato molti occidentali nel credere che la Cina potesse essere indotta a diventare una parte interessata e responsabile, che avrebbe abbracciato con piacere le varie istituzioni e accordi creati da altri quando la Cina era debole. Ma il realista capisce che una Cina più potente cercherà di modificare qualunque accordo che non sia nel suo interesse, proprio come Pechino ha iniziato a fare negli anni più recenti.

Se pensate come un realista, non sarete sorpresi del fatto che gli Stati Uniti abbiano più volte usato la forza militare in stati lontani negli ultimi 25 anni, e specialmente dopo l’11 Settembre. Per un semplice motivo: nessuno poteva impedirglielo. Gli americani erano totalmente convinti che il loro ruolo globale fosse indispensabile, e che avessero il diritto, la responsabilità e la saggezza necessaria per interferire in tutto il mondo. Ma la posizione dominante dell’America è stata la condizione permissiva che ha reso attuabile questa ambigua ambizione, almeno per un po’.

Come aveva avvertito Kenneth Waltz già nel 1993: “Si può sperare che le preoccupazioni interne dell’America non conducano a una politica isolazionista, ormai impossibile, ma a una longanimità che dia agli altri paesi la possibilità di risolvere i propri problemi e compiere i propri errori. Ma non ci scommetterei”. Da buon realista quale era, Waltz ha capito che “il vizio al quale soccombono le grandi potenze in un mondo multipolare è la distrazione; nel mondo bipolare, alla reazione eccessiva; in un mondo unipolare, alla sovraestensione”. Ed è esattamente ciò che è accaduto.

Se pensate come un realista, la crisi in Ucraina sembrerà molto diversa dalla versione occidentale degli eventi. Gli occidentali incolpano Putin, ma il realista capisce che le grandi potenze sono molto sensibili verso ciò che accade ai propri confini, e tendono a reagire in maniera difensiva se altre grandi potenze iniziano a diventare invadenti in queste regioni. Mai sentito parlare della Dottrina Monroe? Nel caso dell’Ucraina, gli Stati Uniti e i suoi alleati europei hanno continuato ad espandere la NATO verso est (violando il giuramento fatto ai leader sovietici all’indomani della riunificazione della Germania) e ignorando continuamente gli avvertimenti di Mosca.

Nel 2013, gli Stati Uniti e l’Unione Europea stavano conducendo degli sforzi congiunti per spingere l’Ucraina ad allinearsi con l’occidente, e stavano interferendo nel processo politico interno del paese. Poiché l’amministrazione Obama non pensava realisticamente, tuttavia, fu sorpresa quando Putin prese la Crimea e mise i bastoni tra le ruote agli sforzi americani ed europei. La risposta di Putin non fu né legale, né legittima, né ammirabile, ma nemmeno così sorprendente. E’ ugualmente poco sorprendente che questi eventi abbiano allarmato gli europei e spinto la NATO ad aumentare le proprie difese nell’Europa dell’est, precisamente ciò che un realista si sarebbe atteso.

Pensare come un realista vi aiuterà a capire perché l’Unione Europea sia nei guai. L’intero progetto UE è stato disegnato per superare il nazionalismo e subordinare gli interessi statali a quelli delle istituzioni sovranazionali. I suoi architetti speravano che le identità e gli interessi nazionali che hanno ripetutamente fatto a pezzi l’Europa si dissolvessero nel tempo, e fossero soppiantati da un’identità paneuropea. L’unità europea era facilitata dalla Guerra Fredda, perché la minaccia sovietica diede agli europei un grande incentivo alla cooperazione, diede all’Europa dell’est un ideale al quale aspirare, e mantenne il “paciere americano” nel continente.

Ma una volta che la Guerra Fredda è finita, il nazionalismo è tornato più forte che mai, specialmente dopo la crisi dell’Euro. All’improvviso, le popolazioni hanno iniziato a chiedere ai propri politici non che salvassero l’Europa, ma che salvassero loro. Nonostante gli sforzi immani dei leader europei e degli ufficiali dell’UE, queste forze centrifughe hanno iniziato a prendere piede, come dimostrano la Brexit, le recenti elezioni italiane, e il ritorno del nazionalismo in Polonia e in Ungheria. Coloro che hanno sperato che il processo di integrazione fosse irreversibile hanno difficoltà a capire come il loro nobile esperimento sia naufragato, ma un realista no.

Se pensate come un realista, non sarete così sorpresi del supporto che l’Iran e la Siria hanno dato all’insorgenza anti-americana in Iraq nel 2003. Potrebbe anche non piacervi, ma non potrete non comprenderla. La loro risposta è stato il classico riequilibro di poteri, visto che gli USA avevano appena rovesciato Saddam Hussein, e l’amministrazione Bush aveva messo in chiaro che Siria e Iran sarebbero stati i prossimi sulla lista. E’ stato il buonsenso strategico di Damasco e Teheran a spingerli a fare tutto ciò che potevano affinché gli Stati Uniti si impantanassero in Iraq, e Washington non avesse tempo di riprendere fiato e attaccarli.

Gli americani hanno tutte le ragioni per essere arrabbiati, ma se più ufficiali USA pensassero come realisti, se lo sarebbero aspettato fin dall’inizio. E, se penserete come un realista, vi sembrerà ovvio il perché la Corea del Nord abbia compiuto enormi sforzi per dotarsi di un deterrente nucleare, e vi sembrerà ancora più ovvio il perché l’Iran sia interessato ad equipaggiarsi con arsenali atomici.

Questi stati erano ai ferri corti con la nazione più potente del mondo, e i capi americani continuavano a ripetere che l’unica soluzione fosse quella di rovesciare i loro regimi e rimpiazzarli con leader di loro gradimento. Non importa che il regime change raramente funzioni; la cosa più importante da capire è che qualunque regime minacciato farà di tutto per proteggere sé stesso. Le armi nucleari non sono efficaci né per minacciare né per conquistare, ma sono un ottimo deterrente per impedire a stati più potenti di rovesciarvi con la forza militare.

E bisogna pensare che gli americani l’abbiano capito, visto che il governo statunitense crede che abbia bisogno di dotarsi di migliaia di testate atomiche per essere al sicuro, nonostante la sua posizione geografica favorevole e la sua superiorità convenzionale. Se gli americani lo pensano, perché stupirsi se uno stato più debole e vulnerabile dovrebbe pensare il contrario? Bisogna sorprendersi se uno di questi paesi sia riluttante a togliersi l’arsenale nucleare in cambio di promesse che possono facilmente essere rimangiate? Qualcuno dovrebbe spiegarlo a John Bolton.

Pensare come un realista vi aiuterà a capire perché paesi con sistemi politici diversi spesso agiscono in modi molto simili. Per fare un esempio ovvio, gli USA e l’URSS non avrebbero potuto essere più diversi, ma il loro comportamento internazionale era molto simile. Ognuno aveva vaste reti di alleanze, rovesciava governi che non gli piacevano, assassinato un gran numero di leader stranieri, costruito migliaia di armi nucleari, intervenuto in terre lontane, cercato di convertire altre società alla propria ideologia, e fatto ciò che poteva per sconfiggere l’altro senza fare esplodere il pianeta. Perché si sono comportati in modo tanto simile? Perché, in un mondo anarchico, ognuno deve competere con l’altro, a meno che non voglia rimanere indietro e diventare preda dalle ambizioni di un altro paese.

Ultimo ma non meno importante, se pensate come un realista sarete scettici degli ambiziosi schemi che gli idealisti continuano a sognare riguardo al porre fine ai conflitti, alle ingiustizie, all’ineguaglianza e ad altre cose brutte. Lottare per un mondo più sicuro e più pacifico è ammirevole, ma il realismo ci ricorda che gli sforzi ambiziosi per riprogettare la politica mondiale hanno sempre delle conseguenze inattese e raramente ottengono ciò che sperano.

Ci ricorda anche che perfino gli alleati temono il potere incontrollato, e avranno dei dubbi ogni volta che gli Stati Uniti cercheranno di dominare il mondo. In breve, se penserete come un realista, sarete più portati ad agire con prudenza, e sarete meno predisposti a vedere gli avversari come puramente malvagi (o a vedere il proprio paese come totalmente virtuoso), e meno tendenti a imbarcarvi in crociate morali senza fine. Ironia della sorte, se più persone pensassero da realiste, la prospettiva della pace mondiale sarebbe più vicina.

(di Stephen M. Walt, Foreign Policy – Traduzione di Federico Bezzi)

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