Morti per il tricolore: gli eroi meridionali contro le balle secessioniste

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Dopo cento anni esatti dalla fine della prima guerra mondiale, il silenzio dei media non è l’unica cosa a lasciarci senza parole: con il centenario, una certa storiografia di parte continua ad alimentare il mito del Sud sfruttato, costretto a partecipare ad una guerra voluta dalla monarchia sabauda contro la volontà popolare.

Questo filone revisionista si inquadra nella corrente del meridionalismo esasperato, quello dei neoborbonici che vedono nel Regno delle Due Sicilie “il paradiso perduto”, che sputano sull’Unità Nazionale perché vista come un’annessione “criminale” da parte del Regno di Sardegna. Il continuo richiamo alla questione meridionale non poteva non toccare anche la Grande Guerra.

Questi sedicenti storici si soffermano spesso sulla renitenza alla leva e le diserzioni per giustificare come, tra i meridionali, la guerra fosse vista come qualcosa di estraneo e una costrizione voluta dal Nord; peccato che quando questi indicano i dati relativi alla renitenza non specifichino come la percentuale di renitenti alla leva fosse stabile rispetto ai decenni precedenti al conflitto e che una delle cause fondamentali fu l’emigrazione e non l’antimilitarismo, tant’è che nelle città e nei paesi del Sud non si riscontrano livelli più alti di altri comuni del Nord.

Ma quanti furono i meridionali che combatterono nella prima guerra mondiale? Sulla mobilitazione totale del Paese, il dato più certo è di oltre cinque milioni di uomini di cui il 17,4% provenienti dal Sud Italia. Sempre in percentuale, la regione meridionale col maggior numero di mobilitati è la Sicilia (8,72%). Prendendo, però, in esame il numero dei maschi in età di chiamata alle armi (censimento del 1911), vediamo come di fronte a una media italiana del 74%, alcune regioni del Sud come Calabria ed Abruzzo abbiano contribuito in maniera determinante, (rispettivamente col 78% e 94%).

Considerando solo la prima linea, i caduti complessivi ammontano a 650000 : Basilicata, Sardegna e Calabria sono state le regioni con il maggior numero di morti in guerra in termini percentuali ed in rapporto alle truppe mobilitate (rispettivamente col 21,06%, 13,85% e 11,31%). Al di là delle percentuali, partendo dagli innumerevoli sacrari ai caduti presenti anche nel più piccolo comune del Sud, così come le rispettive medaglie al Valor Militare, basterebbe uno studio oggettivo per far tacere queste frange revisioniste.

Bisogna riscoprire gli esempi eroici di quei soldati che hanno combattuto l’Austria-Ungheria per poter definitivamente smentire il luogo comune del “Sud antimilitarista”, qualsiasi congettura neoborbonica non può cancellare personalità napoletane (solo per citarne alcune) come Mario Fiore, medaglia d’oro al Valor Militare, Ercole Ercole, medaglia d’argento al Valor Militare morto nel 1967, Armando Diaz, capo dell’esercito che dopo aver condotto la vittoriosa battaglia del Piave riceverà il titolo di Duca della Vittoria, oggi sepolto al sacrario militare di Redipuglia.

La Grande Guerra fu un momento decisivo per l’Unità Nazionale: spesso definita la quarta guerra di indipendenza, nelle trincee del Carso si ebbe la consacrazione del Risorgimento, uomini del Sud e del Nord si ritrovarono a fronteggiare il nemico comune in nome del Tricolore, nonostante le differenze individuali e linguistiche. Parlare della Guerra, della vittoria e del sacrificio oggi sembra essere un tabù. Complice il silenzio della stampa e delle istituzioni, uno studio superficiale delle vicende contribuisce alla diffusione di queste leggende e falsi storici che gettano fango su milioni di italiani, proprio per questo è nostro dovere combattere per la verità.

(di Antonio Pellegrino)

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