Le Comuni parigine: tra borghesia e proletariato

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La rivoluzione francese è considerata come lo spartiacque tra l’età moderna e quella contemporanea. Il suo lascito culturale e politico continua a influenzare il nostro mondo, donando ad essa un’aura esageratamente “leggendaria”. Lo scontro tra la insorgente borghesia e la morente nobiltà ha portato inevitabilmente alla dissoluzione degli antichi ordini gerarchici, dei valori cavallereschi (come affermerà Burke in “Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia”) e, sopratutto, instillato nella popolazione i cosiddetti “valori borghesi”, tra cui anche la predominanza dell’economia sullo Stato. Le Comuni, intese come governi rivoluzionari parigini, nacquero in questo contesto travagliato, ove le orde della Storia si combattevano sanguinosamente. Partiamo però dalle origini di questa istituzione.

 

Le Comuni parigine: la rivoluzione borghese

La Comune del 1792 derivava dalla precedente municipalità cittadina, che contava, nell’aprile del 1789, 407 membri eletti dalle 60 sezioni riguardanti il Terzo Stato di Parigi, anche se alcune delegazioni di membri del clero e della nobiltà parteciparono. Essi erano stati convocati per nominare i deputati che avrebbero formato gli Stati Generali francesi. Dopo la loro elezione, essi decisero di non abbandonare la carica ma di riunirsi all’Hotêl de Ville, il municipio parigino e, in concomitanza ai moti popolari, elessero il 15 luglio l’astronomo Jean S. Bailly come sindaco della città. Fino al 1792, l’istituzione si comportò come una semplice amministrazione cittadina, occupandosi principalmente di riorganizzare la vita politica parigina, scossa dagli avvenimenti rivoluzionari.

Successivamente alla fuga del re Luigi XVI, La Comune divenne una roccaforte della sinistra, fatto che ebbe come conseguenza un diretto conflitto con il Dipartimento di Parigi, poiché era filo-monarchico e moderato. Il conflitto si acuì a giugno, quando il procuratore Manuel e il sindaco Pétion vennero sospesi dal Dipartimento con l’accusa di non aver arginato una manifestazione contro la monarchia e di appoggiare i rivoltosi. Furono reintegrati un mese dopo, ma la frattura era insanabile. Infatti, a seguito di questi eventi e della situazione politica nazionale ed europea, fu chiesta la destituzione del Re.

Era un clima difficile e confusionario: l’Austria e la Prussia si erano alleate con l’obiettivo di riportare l’ordine in Francia e quest’ultima, nella veste dell’Assemblea, dichiarò guerra alla Prussia il 20 aprile. Allorché le sezioni parigine, incitate dal sindaco Pétion e non ostacolate dall’Assemblea Nazionale, misero a capo della Guardia Nazionale Santerre, il quale diresse l’assalto contro il Re, il 9 agosto. Quest’ultimo venne catturato e messo agli arresti, come reazione alle minacce delle monarchie europee. Venne proclamata la Repubblica.

A quel punto, la situazione internazionale si fece più pressante: gli Austro-Prussiani avanzavano, e la capitale francese cadde nella paura di un assedio. Questa paura portò a una durissima repressione degli oppositori politici della Comune e dell’Assemblea, la quale viene definita, in ambiente storiografico come i “massacri di settembre”. La Comune rimase immobile di fronte a queste violenze, e, si occupò di riordinare la propria struttura politica, portando a 288 i membri e cambiando nome in “Consiglio generale della Comune”.

Dopo aver rafforzato il proprio potere, essa cominciò un’opera iconoclasta nei confronti dei vecchi sovrani, degli antichi eroi e dei generali francesi, istituendo inoltre anche una commissione con poteri speciali, la quale poteva arrestare i cittadini e i clericali sospettati di rapportarsi positivamente col nemico e con i contro-rivoluzionari. Oltre a ciò, organizzò i volontari per la guerra rivoluzionaria. In seguito, la Comune stabilì un’imposta sul pane e una per i ricchi.

In questo frangente, sempre più caotico, Luigi XVI fu giustiziato nel gennaio del 1793. Questo evento provocò un’ ulteriore allargamento della Prima Coalizione, la quale vide l’entrata della Spagna, del Regno Unito, di Napoli e dell’Olanda. La situazione divenne sempre più difficoltosa, e, nonostante l’invasione del Belgio e i successi iniziali, i repubblicani francesi furono costretti alla ritirata. Il generale Dumouriez, comandante delle armate rivoluzionarie, trattò con il nemico, promettendo la cessione del Belgio e l’attacco a Parigi. I soldati, però, disertarono in massa e Dumouriez fu costretto a rifugiarsi nei territori della Prima Coalizione. Nel frattempo, la Vandea fu il teatro di una insurrezione contro-rivoluzionaria, e fu necessario l’intervento armato. L’armata vandeana respinse i repubblicani, e questo accese la miccia per la guerra civile.

La Comune, ormai divenuta roccaforte dei sanculotti, fu messa sotto inchiesta per complotto contro la Gironda dalla Convenzione (istituzione politica centrale), la quale tentava di distruggerne l’autorità. La lotta politica si esacerbò e le sezioni politiche parigine insorsero al fianco dei giacobini contro i girondini, vincendo. Questo atto provocò dapprima il sollevamento di molte città del paese, contrarie allo strapotere parigino, e successivamente, la presa del potere da parte di Robespierre, avvocato che assurse la leadership dei giacobini e, successivamente, avviò il periodo del Terrore.

Fu un periodo particolarmente denso di violenza, poiché venne repressa ogni forma di opposizione al regime giacobino. Sul lato interno, furono approvate leggi economiche come quella del maximum, ovvero sia il controllo coattivo delle derrate alimentari e quindi dei granai o dei magazzini, con l’intenzione di evitare che qualcuno possa aver nascosto prodotti destinabili alla vendita, oppure la famosa “legge dei sospetti”, ovvero una normativa che condannava all’arresto gli emigrati francesi, gli ex-nobili e i realisti (oltre a una grande azione di scristianizzazione).

Sul lato esterno, il Comitato di Salute Pubblica (istituzione governativa francese nata a seguito delle sconfitte militari) avviò un’opera di epurazione dei generali considerati sospetti, e riorganizzò l’esercito, potenziando le sue capacità belliche. Entro la fine del 1793, i ribelli furono uccisi. Tra i decreti di Robespierre, ci fu l’introduzione della Comune nella sfera di influenza del Comitato di Salute Pubblica. Questa mossa politica centralizzò i poteri, aumentando il potere parigino. La Comune era divenuta l’espressione del regime del Terrore. Nel 1794, poi, la scelta dei suoi membri fu una prerogativa del Comitato, il quale continuò ad eliminare gli appartenenti alle sezioni.

La storia della Comune rivoluzionaria parigina terminò con il colpo di Stato del 9 termidoro, nel quale fu rovesciato il governo di Robespierre. Le sezioni politiche appartenenti ad essa si posero a difesa dello Stato giacobino, e la loro sollevazione fu repressa nel sangue, con circa 90 membri passati per la ghigliottina e 40 agli arresti. Solo una 15 di loro si salvò. Il nuovo governo di stampo termidoriano abolì la Comune e divise la città di Parigi in 12 circoscrizioni, ognuna di esse governata da una diversa commissione. L’epoca rivoluzionaria non era ancora finita, ma venne riportato l’ordine, il quale verrà stravolto pochi anni dopo, da Napoleone e, infine, dalla Restaurazione.

 

L’insurrezione proletaria

Abbiamo analizzato il ruolo della Comune rivoluzionaria di Parigi del 1792, evidenziando gli eventi storici e le motivazioni che l’hanno caratterizzata. Passiamo ora invece a discutere della Comune di Parigi del 1871, ben più conosciuta della precedente, poiché ha avuto sia una maggiore risonanza mediatica, sia perché rappresenta in parte il primo esperimento socialista della Storia contemporanea.

La “Commune de Paris” del 1871 si sviluppò, come esperienza politica, in un contesto assai problematico: l’Impero di Napoleone III, dopo la sconfitta a Sédan era caduto sotto la pressione militare prussiana, e l’Imperatore stesso era stato catturato dalle truppe di Brandeburgo. La Francia dell’Est era divenuta il bivacco dei soldati di Von Bismarck, e Parigi era minacciata.

Dopo questi eventi, i repubblicani francesi, tentarono di costituire una nuova Repubblica (con il supporto dei legittimisti e di una piccola componente bonapartista) la quale escludesse però le forze popolari, come i socialisti o i proudhoniani. L’esclusione nella nuova Assemblea delle forze popolari era dettata dalla necessità di mantenere uno status quo in politica e di evitare la rivoluzione sociale, in modo da non perdere l’appoggio e il consenso della borghesia e dei proprietari terrieri. L’Assemblea Nazionale, inizialmente optò per una monarchia parlamentare, poiché si riteneva che fosse la soluzione per impedire eventuali “infiltrazioni” da parte dei socialisti e quindi evitare una guerra civile.

Il tentativo di riportare in auge la Monarchia ebbe come reazione un sollevamento popolare che, occupato l’Hotêl de Ville, proclamò la Repubblica dopodichè fu formato, molto in fretta, un governo di “difesa nazionale” , che potesse fermare l’avanzata prussiana. Inoltre furono sciolti gli altri organi governativi, come l’Assemblea e il Senato.

Nonostante fosse stato creato un governo di difesa nazionale, il generale Trochu, capo dell’esecutivo, riteneva che la continuazione del conflitto fosse improduttiva ed inutile e che Parigi, secondo lui, sarebbe stata indifendibile, e quindi sarebbe caduta nelle mani del nemico. Il governo pertanto cercò di trattare con Von Bismarck al fine di porre fine alla guerra. I monarchici e i bonapartisti appoggiavano questa decisione: l’onta della disfatta sarebbe ricaduta sulla Repubblica, e non sulla Monarchia/Impero. Il pericolo, secondo il governo, non lo costituiva la Prussia, ma bensì le forze socialiste e popolari. L’esecutivo di Trochu si diede quindi l’obiettivo di schiacciare questa fazione politica, anche con la forza se fosse stato necessario.

In reazione al comportamento governativo, i “rossi” si riunirono nei club parigini e istituirono dei comitati di sorveglianza facenti capo a un unico Comitato Centrale, atto a vigilare sulle azioni della polizia e delle amministrazioni municipali, accusate di essere succubi del potere dell’esecutivo. Inoltre, emisero una serie di richieste, tra cui la sostituzione dell’arcaica polizia con una novella polizia municipale, la revoca dei magistrati, giudicati corrotti, e il diritto all’associazione, riunione e la libertà di stampa. Infine, richiesero l’annullamento delle condanne politiche emesse durante l’Impero e le elezioni libere municipali.

Il governo non diede risposta e continuò a temporeggiare. Allorché il 17 settembre 1870, il Comitato Centrale richiese di armare ogni cittadino abile (con la formazione di milizie municipali), espropriare i beni di prima necessità e la distribuzione organizzata di cibo, in previsione all’imminente assedio della città.

I Prussiani, infatti, arrivarono a Parigi il 19 settembre. La città presentava una lunga linea di bastioni e fortificazioni, che la difendevano dalle sortite nemiche. I francesi avevano a disposizione 275.000 regolari, 384.000 guardie nazionali e alcune batterie d’artiglieria, pronti a scontrarsi contro 120.000 germanici. Malgrado la superiorità numerica francese, l’esecutivo di Trochu continuava a meditare sulla pace, evitando di predisporre un piano militare per la difesa cittadina. Le guardie nazionali ardevano al desiderio di combattere per la difesa della Patria, e oltre a ciò, richiesero le elezioni, manifestando. Il governo pose un netto rifiuto.

La situazione politica stava sfuggendo di mano a Trochu, infatti i rappresentati del X arrodissement, vista l’inerzia e l’immobilismo del potere centrale, dichiararono di voler costituire la Comune. Comune che, almeno nelle iniziali intenzioni dei rivoluzionari, non avrebbe sostituito gli organi di governo, ma li avrebbe affiancati per gestire, in autonomia, Parigi.

Bazaine, comandante francese delle truppe stanziate a Metz e fanatico bonapartista, capitolò il 31 ottobre 1870. La capitale francese si trovava senza più difese, e lo stesso Bazaine, in contrasto con la Repubblica, cercò di convincere l’Imperatrice Eugenia (moglie di Napoleone III) a firmare l’onerosa pace imposta dai Prussiani. Ella rifiutò e Bazaine lasciò passare i germanici. A Parigi scoppiò una violenta insurrezione e il governo di Trochu fu costretto a rifugiarsi a Versailles, mentre il comando della città passò a Blanqui, il leader comunista. Egli, teorico marxista, ipotizzava che per realizzare la rivoluzione fosse necessario utilizzare un piccolo gruppo di congiurati che assumesse il controllo degli organi di sovranità statale.

In effetti, dopo la sua presa del potere, diede l’ordine di occupare la prefettura e i municipi, e costituì, nella stessa giornata, un Comitato di Salute Pubblica, sulla stessa onda del Comitato formato nel 1792 durante la prima esperienza comunale.

La reazione del governo non si fece attendere e lanciò un appello affinchè fossero sgomberati tutti gli edifici sensibili, e in cambio, nessuno sarebbe stato punito per questa azione sovversiva. I rivoluzionari abbandonarono le loro posizioni ma un comandante dell’esercito ordinò la rappresaglia e furono arrestati circa 15 capi rivoluzionari, tra cui non rientrò Blanqui, il quale riuscì a fuggire. Fu però deciso di tenere le elezioni il 5 novembre.

Il perduramento dell’assedio fece sì che le razioni alimentari cominciassero a scarseggiare. Non fu più erogato il gas e il petrolio era dato con il contagocce. Il livello sanitario era sceso ai minimi storici. Inoltre, secondo quanto riferisce Lissagaray (comunardo parigino) i poveri furono costretti a vendere le tessere per la carne al fine di acquistare il pane. Questo spettacolo orrendo era divenuta la quotidianità a Parigi.

Fu tentata un’ultima disperata offensiva per rompere l’accerchiamento e porre fine alla sofferenza cittadina. Le truppe al comando di Ducrot avanzarono con successo fino a Champigny, ma egli adottò una tattica attendista, la quale li si rivelò fatale: i Prussiani lanciarono una violenta controffensiva e i francesi riuscirono a resistere solo un giorno. Poi, incalzati dalle truppe nemiche, furono costretti a ritirarsi.

A quel punto, l’Assemblea optò per la capitolazione, ma incontrò la resistenza degli operai e dei socialisti, i quali volevano la guerra ad oltranza, fino all’ultimo uomo. A quel punto il governo decise di sacrificare 20.000 guardie nazionali al fine di convincere la popolazione che la guerra non avesse nessuno spiraglio di vittoria. La Guardia tuttavia fronteggiò in modo encomiabile, nonostante l’impreparazione e l’inesperienza, i veterani prussiani. Le milizie francesi avanzarono di parecchi chilometri, ma alla fine furono costretti a ripiegare nuovamente poiché l’artiglieria non riusciva a fornire loro un supporto efficace, essendo avanzati al di fuori delle linee di tiro. Ritornati, essi capirono che la sortita era solo un espediente atto a sacrificarli.

Iniziò quindi a circolare, in modo più massiccio, l’idea che il governo centrale francese stesse lavorando per far arrendere Parigi, e per risolverlo, sarebbe stato necessario sovvertire l’ordine. Infatti la situazione scoppiò nuovamente in una imponente manifestazione nella capitale francese, ma venne repressa prontamente dall’intervento dei governativi, che spararono sulla folla e limitò gli organi di stampa. Furono però liberati alcuni prigionieri politici.

Nel frattempo, il governo francese iniziò a intrattenere le prime trattative con lo Stato Prussiano, al fine di porre fine all’onerosa guerra. Le Favre, ministro degli Esteri, incontrò Bismarck a Versailles, concordando una tregua (la quale sarebbe stata poi ratificata e divenuta pace il 10 maggio): la Francia avrebbe disarmato l’esercito e le milizie, oltre a pagare un indennizzo di 200 milioni di franchi e a istituire una nuova Assemblea Nazionale.

Vennero tenute le elezioni l’8 di febbraio: i monarchici vinsero e preparavano un progetto di restaurazione molto ampio, con il ritorno della Monarchia nel paese. Tra i nuovi componenti dell’Assemblea nazionale fu eletto anche Giuseppe Garibaldi, il quale aveva partecipato al fianco dei francesi con onore alla guerra franco-prussiana, ma tale carica fu successivamente annullata poiché era straniero.

La Guardia Nazionale, contemporaneamente, costituì dei Comitati che facevano capo ad un unico Comitato Centrale (il cui comando fu affidato allo stesso Garibaldi, che pur tuttavia, rifiutò) con lo scopo di opporsi alle deliberazioni governative; furono domandate armi per combattere. Il governo, in risposta, continuò a chiudere giornali e ad incarcerare oppositori, tra cui Blanqui. La circostanza socio-politica si faceva sempre più minacciosa, e la miccia stava prendendo sempre fuoco. Era pronta per esplodere e per cambiare il corso della Storia.

Il governo, deciso a rispettare ed a assolvere i propri doveri nei confronti dei vincitori, ordinò il 16 marzo di sgomberare la “place du Vosges” dai pezzi di artiglieria. Le Guardie Nazionali si opposero strenuamente e i versagliesi furono costretti a ritirarsi. L’apparente ritirata non significò un cambio di politica: il 18 marzo i governativi ritentarono, cercando di sgomberare anche il Luxembourg e Montmartre. La resistenza e la pervicacia delle milizie cittadine non accennava a sciamare.

L’esercito regolare fu costretto a disperdere i manifestanti, che si sollevarono, sebbene non vi furono scontri degni di nota. A quel punto, accecati ed ebbri dall’entusiasmo rivoluzionario, i ribelli occuparono tutti gli edifici sensibili, tra cui l’Hotȇl de Ville, sul quale fu issato la bandiera rossa, simbolo del Socialismo e della Rivoluzione. La popolazione scese per le strade a sostenere i rivoluzionari, e furono erette in difesa delle barricate.

La Guardia Nazionale, però, non si aspettava una reazione simile e non disponeva di nessun piano sul post-conquista del potere; in effetti, commisero anche il fatale errore di non attaccare la vulnerabile Versailles per rovesciare il governo stesso e assumere quindi l’autorità necessaria per compiere la tanto attesa Rivoluzione.

Nonostante ciò, si limitarono a indire nuove elezioni per il 26 marzo e a fondare la nuova Comune, in concomitanza agli eventi che accadevano contemporaneamente nel resto della Francia: altre città, tra cui Lione, Marsiglia e Narbona, avevano instaurato la Comune, e cercavano di formare una sorta di Federazione. Questo era un concetto molto caro ai seguaci di Proudhon, protagonisti diretti della rivoluzione parigina, i quali auspicavano la soppressione degli Stati e, al loro posto, il sorgere di federazioni di città indipendenti, in modo da elidere ogni forma organizzata di sfruttamento. Su questo tema, però, torneremo più avanti.

La Comune venne instaurata il 28 marzo. I socialisti, propugnatori e sostenitori della Rivoluzione, occupavano più di mezzo arco parlamentare, confermandosi come i vincitori assoluti delle elezioni. Furono da essi istituite 10 commissioni, le quali ognuna si occupava di un settore cardinale di ogni governo, come la riscossione delle imposte e quindi le finanze, oppure la commissione istituita per fronteggiare la guerra.

All’interno dell’esecutivo e quindi anche della parte legislativa comunarda vi erano numerose fazioni politiche, come i già citati proudhoniani, i quali volevano, oltre a una federazione di città, anche una società strutturata in associazioni autonome e inoltre, erano fautori del cosiddetto “mutualismo”, una teoria economica la quale prevedeva che per eliminare lo sfruttamento fosse necessario per chi lavorava prestare il proprio lavoro senza ottenere un plusvalore aggiuntivo. Oltre a loro, vi erano i blanquisti, i seguaci di Blanqui, i quali credevano in una società comunista. Essi politicamente erano vicini ai neo-giacobini, e per riuscire a prendere il controllo del potere, non reputavano positive le rivoluzioni di massa ma bensì volevano raggiungere i vertici della società architettando colpi di Stato, tramite l’uso di piccoli gruppi di cospiratori.

Infine, vi erano i neo-giacobini, i quali propugnavano delle idee di repubblicanesimo radicale, ereditati dalla tradizione dei seguaci di Robespierre, e chiedevano a gran voce le libertà democratiche, il laicismo e la pubblica istruzione. Mentre per i blanquisti e i proudhoniani il sostegno era prevalentemente proletario, lo zoccolo duro dei neo-giacobini era rappresentato dalla piccola borghesia, schiacciata da una parte dalla medio-alta borghesia, la quale sottraeva a loro fette di mercato e potere, e dall’altra, dalle rivendicazioni operaie, contadine e proletarie. Tuttavia si unirono ai proletari contro il Capitale.

La Comune, successivamente al 28 marzo, emise numerose deliberazioni: innanzitutto fu adottata come simbolo la bandiera rossa e furono consegnate ad ogni cittadino un fucile, per preparare la difesa. Le industrie abbandonate per via della guerra dai proprietari divennero di competenza delle cooperative di operai, i quali le fornirono di nuova vita. Inoltre, gli stipendi degli operai pubblici divenne fisso e uguale per tutti. Ai fornai fu vietato di lavorare di notte, ma ciò collise con gli interessi dei lavoratori e quindi il decreto non venne mai effettivamente attuato.

Fu prorogata di circa un anno la riscossione degli affitti, che a causa della guerra non erano stati richiesti, oltre a restituire tutti i pegni donati al Monte di Pietà (i quali la Comune tentò di chiudere con forza); fu rotto il Concordato, firmato da Napoleone, tra Stato e Chiesa, e a seguito di ciò le scuole divennero pubbliche e completamente laiche (agli insegnanti fu parificato lo stipendio e fu aumentato rispetto a prima); infine, fu abbattuta la Colonna Vendôme, costruita da Napoleone I, poiché era considerato un simbolo “militarista” e imperialista. Non fu preso il controllo della Banca Nazionale, e questo mise in crisi la Comune, la quale non disponeva di sovranità monetaria. Comunque sia, gli effetti di questo errore non si videro, poiché la nuova istituzione comunarda fu subito oggetto della repressione del governo di Versailles.

I versagliesi, intenti a sradicare la Comune, tentarono ad Aprile di entrare in città con 10.000 uomini ma furono respinti coraggiosamente dalle milizie cittadine. Allorché le Guardie Nazionali avviarono, forti di 35.000 uomini, una contro-offensiva che ebbe come esito la presa di Reuil, oltre il ponte di Neuilly sur le Marne. Dopo duri scontri, furono costretti a ripiegare nei pressi del ponte sulla Marna. Fu adottata una strategia attendista da entrambe le parti, e Versailles utilizzò il tempo di relativa pace per rinforzare e riorganizzare le proprie difese. Dei tre corpi d’armata che aveva a disposizione, se ne sommarono altri due, poiché i Prussiani rilasciarono i prigionieri di guerra francesi, i quali vennero prontamente arruolati nell’esercito regolare versagliese.

Il 7 aprile i lealisti assaltarono il ponte di Neuilly, conquistandolo. Le milizie comunarde si impadronirono di alcune posizioni a nord e a Asnieres, ma il 19 furono costrette a ritirarsi nuovamente dall’incalzare delle truppe di Versailles. D’altronde, esse erano composte da veterani, mentre la Guardia Nazionale, sebbene fosse animata da ardimento rivoluzionario, era composta da cittadini e quindi impreparata alla guerra rispetto ai versagliesi.

Il giorno dopo, Versailles aveva raggiunto la Senna. Il 25 aprile iniziò il bombardamento di Parigi, e furono presi due forti, ripresi poi dalla Guardia Nazionale parigina 5 giorni dopo. A Versailles, però, Thiers (il leader dell’esecutivo) rassicurò i Prussiani che l’ordine sarebbe stato riportato entro pochi giorni e che ormai era fatta. Infatti, a maggio la situazione militare e politica precipitò: nel tentativo disperato di porre un argine all’avanzata nemica, fu riorganizzato dai comunardi il Comitato di Salute Pubblica e messo a capo dell’esercito il colonnello Rossel.

I versagliesi avevano preso tutte le fortificazioni parigine: entrarono in città il 21 maggio. La ferrovia e le ulteriori fortificazioni caddero nelle mani dei lealisti. Domborwski, comandante della Guardia, richiese rinforzi ma non li ottenne e dovette combattere strenuamente. La popolazione imbracciò il fucile in difesa della Comune rivoluzionaria e combatté in modo sbalorditivo. L’eroismo non bastò: furono prese dai versagliesi Montmartre, il Luxembourg e il Louvre.

Fu un bagno di sangue. I comunardi tentarono di utilizzare la propaganda e lanciare quindi appelli alla fraternizzazione col nemico. Non furono accolti e, anzi, i lealisti fucilavano chi era caduto tra le loro mani come prigioniero. Sembra che in qualche occasione, visto il grande numero di prigionieri, fossero state utilizzate le mitragliatrici.

Parigi non era ancora caduta. Si combatteva nei pressi della Bastiglia, ma le milizie comunarde furono costrette a ritirarsi nei pressi di Belleville, dove si ebbe la difesa finale. Per 2 giorni i parigini combatterono eroicamente, senza cedere di un passo il terreno. La città era completamente in fiamme e coperta di macerie. Il 28 maggio, però, gli eroici difensori della Comune furono costretti ad arrendersi, dato che Belleville fu conquistata. Chi sopravvisse finì ucciso brutalmente dai lealisti, e solo una piccola parte riuscì a fuggire. A Parigi giacevano i corpi di circa 20.000 comunardi, tra fucilati e chi era morto combattendo. Era la più grande strage francese di tutta la Storia. Il vecchio mondo aveva vinto di nuovo, e per elevare il proprio trionfo nella sua parata schiacciava il popolo.

 

Le Comuni parigine: un confronto

Passiamo ora a porre in essere un bilancio storico, tra le due Comuni.

Esse, come abbiamo potuto vedere, sono fortemente diverse ma condividono lo stesso destino: essere braccate e odiate dalle forze reazionarie d’Europa. La sostanziale e fondamentale differenza è che la prima Comune (1792) è figlia della Rivoluzione Francese e ha un carattere prettamente borghese; la seconda Comune ,quella del 1871, è frutto delle neonate teorie socialiste ed anarchiche.

La prima fu quindi espressione di un nuovo mondo, di una nuova società e del capitalismo. Ha posto fine al feudalesimo, alla cavalleria. L’antica nobiltà era stata uccisa per far posto alla nuova aristocrazia, la quale era la Borghesia. Fu posto l’accento sulle libertà civili e democratiche più che sui diritti sociali, prerogativa delle rivoluzioni socialiste. Riuscì a coniugare, temporaneamente, le esigenze della nascente classe borghese e gli operai. I contadini, invece, si unirono ai rivoltosi di Vandea, avversando quindi i rivoluzionari. Il pericolo della morte della Rivoluzione fece sì che salisse al potere Robespierre, un giacobino; la Comune del ’92 divenne così il suo “braccio armato”.

Non poteva essere altrimenti: sebbene molti possano giudicare negativo il periodo del Terrore, per via delle sue azioni non convenzionali e prettamente “dittatoriali”, esso fu necessario per non far soccombere la neonata rivoluzione francese sotto il giogo dell’ Antico Regime. L’Europa stava mutando il suo volto economico ed era inevitabile che si modificasse il regime politico. Era una necessità assoluta, ma la reazione svolta dalle varie coalizioni, unitesi contro la Francia rivoluzionaria, era molto potente e poteva riuscire a eliminare ogni cambiamento sorto. Per questo la Comune del ’92 aderì e applicò misure drastiche, ovvero per salvaguardare i progressi ottenuti. A tal proposito, per sostenere questa tesi, possiamo osservare altri esperimenti politici che hanno avuto luogo quasi un secolo più tardi: la Comune di Parigi del 1871 e i governi rivoluzionari aggregati.

La Comune di Parigi del 1871 cadde per mano delle stesse forze conservatrici, del clero, della borghesia e dell’antica nobiltà decaduta, le quali si erano unite assieme proprio per porre fine alle istanze socialiste e popolari della crescente popolazione operaia, sostenuta dai contadini. Cosa ha caratterizzato maggiormente la sconfitta di questa esperienza “comunarda”? I fattori sono molteplici: la tempistica, la scarsa determinazione e il sabotaggio avversario.

La scelta del momento adatto per avviare una rivoluzione è fondamentale: nel 1871 la guerra imperversava per il continente. l’Italia aveva appena preso Roma, e si preparava a farla divenire capitale dello Stato. Essa cercava inoltre di ritagliarsi uno spazio affinché potesse detenere una determinata area di influenza. La Prussia, oltre a combattere contro la Francia, stava cercando di unificare la Germania, e in questo era ostacolata dall’Impero francese e dall’Impero Asburgico; la Gran Bretagna era intenta ad allargare i propri domini coloniali. La Spagna, il Portogallo, la Russia erano in decadenza e non si occupavano troppo degli affari esterni, vista la loro situazione interna.

Le masse, giustamente, erano galvanizzate dalla propaganda nazionalista e dai successi politico-militari. Molte nazioni dovevano ancora sorgere, e per esservi una reale coscienza sociale, vi è bisogno di un forte senso di appartenenza alla propria Nazione. Non era ancora il tempo per una rivoluzione socialista in Europa, per questo l’esperienza comunarda fallì. Però, come affermato prima, non vi era solo una questione di periodo storico sbagliato, poiché furono prese anche decisioni sbagliate: la Guardia Nazionale, appena visto il successo della sollevazione, doveva assolutamente attaccare Versailles e conquistare definitivamente il potere politico.

A conti fatti è facile pensare che sia stato un grosso errore strategico, ma a difesa dei comunardi bisogna affermare che in quel momento così concitato, sebbene le guardie nazionali insorsero, essi non avevano un’idea chiara di cosa fare dopo. Non si aspettavano nemmeno il sostegno popolare. Però questo errore di valutazione fu fatale: il governo lealista continuò a lavorare per abbattere la minaccia rivoluzionaria, chiedendo soccorso anche ai Prussiani. Anche in questo le due Comuni si differenziano, poiché per una, la fine fu una soppressione politica, per l’altra fu una resistenza eroica e un glorioso combattimento.

Vi è anche da aggiungere che mentre la Comune del ’92 non ebbe istituzioni simili in altre città francesi e si configurava prettamente come una normale e semplice amministrazione cittadina, la seconda minacciava direttamente la sovranità dello Stato Francese, dato che cercò fin dall’inizio di costituire un governo parallelo a quello di Versailles, per applicare le nuove idee popolari, come quelle elaborate da Proudhon e Blanqui, producendo un fervore rivoluzionario che si estese anche in altre città della Francia, le quali proclamarono la Comune socialista. Da esse sarebbe nata una federazione di città le quali avrebbero istituito un nuovo Stato. La reazione fu quindi, seppur simili, profondamente diversa. E’ assolutamente normale che le forze conservatrici, guidate quasi da un istinto naturale, cercarono di sopravvivere attaccando militarmente le nuove forze rivoluzionarie.

 

(di Federico Gozzi)

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