Prima Putin ora Orban: stravincono, ma a qualcuno non va giù

Un’ombra scura avanza. Scurissima. Nerissima di un nero fascista, che tanto l’appellativo, si sa, ci sta sempre bene.

Le notizie, inutile nasconderlo, fanno presagire la tragedia. Eh già, perché un Satana vestito da nazione europea avanza dalle sponde del Danubio portando sul Vecchio Continente il terrore della democrazia.

Ha votato in massa il popolo ungherese – un fatto di per sé per nulla disdicevole, anzi – ma, boia d’un magiaro, lo ha fatto consegnando un’ampia maggioranza al terribile Viktor Orban che potrà, forte di numeri elevatissimi in Parlamento (dovrebbero essere ben 133 i seggi conquistati sui 199 disponibili), addirittura intervenire sulla carta costituzionale.

Ovviamente il coro di paura si è alzato immediatamente dalle testate occidentali. Nel nostro Paese, ad esempio, ci ha pensato Enrico Mentana a metterci in guardia sulla catastrofe consumatasi in quel di Budapest.


C’è però anche chi ha avuto da ridire, tirando in ballo il vecchio concetto, da molta intellighenzia ormai superato, della volontà popolare. Insomma, a ben guardare questo demonio di Orban qualche voto lo avrebbe preso sul serio e l’Ungheria parrebbe a tutti gli effetti una democrazia.

Anche il rapporto tra voti (circa il 50%) e seggi conquistati (circa il 66) è sì alto, ma non inedito nemmeno per le democrazie occidentali se non addirittura ben più basso. Basti pensare all’Italia dove nel 2013 la coalizione di centrosinistra con il 29,55% dei consensi alla Camera ottenne il 54% dei seggi. E proprio su quella maggioranza il PD avrebbe poi tentato la naufragata riforma costituzionale che è costata la testa di Renzi.

La legge elettorale era quella successivamente dichiarata incostituzionale nel premio di maggioranza, ma, nonostante questo, di certo nessuno ha mai messo in dubbio la tenuta democratica del BelPaese, se non qualche “webete” dal buon Chicco giustamente subito redarguito.

Il problema dunque pare porsi solo marginalmente. E infatti è lo stesso Mentana che chiarisce, in un commento, che il punto principale non è nemmeno quello, ma il razzismo palese di Orban, ricavabile facilmente da un citato discorso nel quale il premier ungherese rifiuta nettamente la società multiculturale, spendendosi perché il suo Paese resti culturalmente ed etnicamente omogeneo.

Certo è un concetto molto forte, quasi eretico agli occhi dell’Europa occidentale, ma andrebbe specificato forse che il passaggio dal rifiutare il melting pot al razzismo non è poi così automatico e che mai e poi mai Orban ha parlato di razza superiore, ma semplicemente di etnia, tradizioni e culture da preservare.

Un dettaglio che fa tutta la differenza del mondo tra l’avere un’opinione, più o meno condivisibile, e lo sfociare in un’ideologia violenta. Piaccia o no l’idea identitaria di Orban, largamente condivisa dagli ungheresi che lo hanno votato in massa dando, tra l’altro, la seconda posizione al movimento nazionalista “Jobbik” – che ha linea simile, se non più dura, su questo tema –  è la stessa che Muhammad Ali esprimeva in una nota intervista sul multiculturalismo.

Forse allora più che su questo, interrogandosi sul risultato elettorale ungherese sarebbe il caso di conderare i vari risultati targati Fidesz, uno su tutti il passaggio da un tasso di disoccupazione dell’11% ad uno del 3,9.

Senza dimenticare la voce grossa fatta da Budapest in Europa per quanto riguarda le questioni della sovranità e del mettere in cima ad ogni scelta politica l’interesse nazionale. Che forse abbia inciso più questo che non il fantasma della solita, più o meno palese, reductio ad Hitlerum?

(di Simone De Rosa)