Elogio del soldato siriano

Donald Trump annuncia il ritiro delle illegali truppe USA dalla Siria. Il soldato siriano è ufficialmente l’eroe del nostro tempo. Con un Kalashnikov trasandato, dei T-72 malridotti e dei MIG-21 nemmeno in grado di impiegare missili aria-aria ha sconfitto, nell’ordine: imperialismo, globalismo, neocolonialismo, unipolarismo occidentale, jihadismo, terrorismo internazionale, finti pacifisti e ONG sponsor dei salafiti.

Una storia che nasce da lontano, da Qusayr, il 5 giugno 2013. Chi la controlla, a sud-ovest di Homs e a ridosso del confine col Libano, controlla il centro del Paese. La vittoria lì gli permise di mantenere inalterato il corridoio di armi destinate all’asse sciita e concentrare gli sforzi bellici lungo l’asse sud-nord che portarono, 3 anni e mezzo dopo, alla liberazione di Aleppo. È il 13 dicembre 2016, sciiti e sunniti scendono in piazza. Quel giorno diluviava, eppure le strombazzate di clacson e i caroselli per le strade erano così numerosi che facevano quasi pensare che la Siria avesse vinto qualche oro olimpico o il Mondiale di calcio.

Dell’orgogliosa – per Hillary Clinton e Bernard-Henri Lévy – “resistenza ribelle” rimasero solo i brutti ricordi e i vessilli dati alle fiamme. Al salafita fu destinato il ludibrio e al Fratello Musulmano l’umiliazione pubblica. Alle Lina Shamy e ai Bilal Kareem, che denunciavano le “atrocità” di Bashar al-Assad con i qaedisti di Jabhat al-Nusra armati di AK-47 sullo sfondo, spettò il soggiorno in qualche letamaio di Idlib, in spasmodica attesa del chirurgico raid aereo russo che li farà passare a miglior vita e raggiungere il loro caro amico, Zahran Alloush, leader di Jaysh al-Islam ucciso nel Ghouta orientale il 26 dicembre 2015.

Dei set cinematografici dei White Helmets, appositamente creati affinché l’Occidente intervenisse militarmente contro di lui, rimasero solo le infamie e le macerie. Fu l’ispirazione per un nuovo capitolo di gloria: Deir el-Zor. A differenza dei primi due, però, ebbe un inizio travagliato. Il 17 gennaio 2016, infatti, un massacro di Daesh uccise più di 300 persone. Era il periodo dove, in carenza di uomini e mezzi, difendeva a malapena e a fatica la sacca di 250.000 civili dalle aggressioni terroristiche. Gli attacchi principali nei quartieri di Ayyash, Haweeqa e al-Bughayliyah, dove si riuscì ad eliminare Abu Hamza al-Ansari, il comandante delle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi nella città, e garantire la sicurezza di 120.000 civili non furono abbastanza.

Il 17 settembre 2016, per impedire che, insieme ad Hezbollah e alla milizia Qawat al-Nimr, ne difendesse la base aerea dagli attacchi dell’ISIS, la coalizione a guida USA effettuò un raid sulle loro postazioni. “Un errore”, dichiarò il Pentagono, ma i risultati furono catastrofici: 62 patrioti furono uccisi e gli uomini del Califfato ritrovatisi in enorme vantaggio sul terreno.

Il 20 agosto 2017, nei pressi di al-Kadir, per evitare che tagliasse in due la sacca dell’ISIS tra le province di Hama ed Homs – passo fondamentale per procedere senza intoppi verso la città e congiungersi con l’esercito iracheno ed il Generale, Issam Zahreddine – cacciabombardieri a stelle e strisce e israeliani effettuarono un raid ai suoi danni ritardandone la riuscita dell’operazione. Ad un certo punto, però, la svolta. Con una sola bomba termobarica da 7 tonnellate sganciata da un bombardiere strategico Tupolev-160, il 10 settembre 2017 la Russia neutralizzò più di 40 capi dello Stato Islamico. Tale operazione volse alla rottura dell’assedio e alla creazione di una catena di circoscrizione di Raqqa da sud.

Si posero le basi per una forte opposizione ad un’eventuale sua conquista ad opera dei curdi di YPG e SDF, scenario auspicato da Washington che avrebbe permesso loro di balcanizzare il territorio siriano mediante la creazione di quel Kurdistan abusivo e satellite che avrebbe funto da proxy atto a sabotare l’influenza iraniana in Medio Oriente rappresentata dalla linea di continuità territoriale Baghdad-Damasco-Beirut. I festeggiamenti non si contarono. Quel popolo non funzionale alla propaganda occidentale, vessato e che non ha trovato mai spazio nelle dichiarazioni pelose di ONG, ONLUS e filantropi vari, che con i diritti umani fanno il bello e il cattivo tempo, a seconda delle convenienze, acclamò il suo eroe: Suheil al-Hassan.

Abbracci, lacrime, baci, per tutta la notte. La forza necessaria per chiudere i conti definitivamente nel Ghouta orientale. Come nel caso aleppino, con gli “ospedali bombardati” e i “clown uccisi”, si è scatenata la macchina del fango per screditarne, agli occhi dell’opinione pubblica, i successi militari. Gli attacchi chimici inventati di sana pianta da Roberto Saviano per spronare il Congresso ad attaccarlo militarmente. La “bambina insanguinata”, twittata da Muhammad Najem e Zahed Katurji, per spingere l’ONU ad indire quelle vigliacche “tregue umanitarie” che avrebbero significato la condanna a morte certa per la popolazione di Bab Tuma e Jaramana, quartieri di Damasco a maggioranza cristiana e drusa. Jaysh al-Islam, Faylaq-al Rahman e Hay’at Tahrir al-Sham, infatti, si sarebbero riorganizzati militarmente.

I colpi di mortaio, con i quali hanno ininterrottamente bombardato e ucciso nel silenzio mediatico, si sarebbero evoluti nei missili Strela-2M, capaci di raggiungere addirittura il centro cittadino, essendo a gittata e velocità più potenti. Agli abitanti avrebbe voluto dire impedire di lasciare la zona assediata e condannarli, perpetuamente, alla condizione di scudi umani a vantaggio dei takfiri. Lo abbiamo visto ad Aleppo Est: solo dopo la completa disfatta di Jabhat al-Nusra e la sparizione dei White Helmets si è potuto procedere, con degli autobus, all’evacuazione secondo base etnica. Chiunque, prima, tentasse di fuggire attraverso i corridoi istituiti da Mosca, Hezbollah e Teheran veniva fucilato o rapito. Nulla di tutto questo è successo.

Oggi, l’87% del territorio è sotto il suo controllo. Harasta è libera. I giubili colorano la periferia damascena. A lui il posto più alto nell’Olimpo della Storia, insieme al suo presidente, Bashar al-Assad.

(di Davide Pellegrino)