Il grottesco americanismo d’accatto di “Repubblica”

Oggi Repubblica ha veramente superato se stessa. Un editoriale che oscilla continuamente tra il ridicolo e il vergognoso a firma di Rampini che lamenta il fatto che “la più grande liberaldemocrazia del mondo” non protesta per “la grave deriva autoritaria cinese”, dove Xi Jinping “violenta la Costituzione”. E’ sempre più palese l’incapacità di questi microbi intellettuali di concepire l'”altro da sé”, di discostarsi dai canoni del pensiero unico e di superare il sempre più grottesco americanismo d’accatto, che ignora con grande disinvoltura tutte le infamie che gli Usa perpetrano sia all’esterno che all’interno, per approcciare a una realtà che ogni giorno diventa più complessa e “plurale”. La Cina ha quasi un miliardo e mezzo di abitanti che parlano varie lingue, appartengono a varie etnie, e hanno una tradizione ultramilllenaria profondamente diversa dalla nostra.

Se Rampini avesse la decenza di studiare un po’ la storia e le istituzioni cinesi si renderebbe conto che il presidente somiglia molto al vecchio imperatore celeste, e che l’establishment del Partito Comunista svolge ruoli non troppo diversi dalla vecchia burocrazia confuciana. Eppure, un rapido sguardo alla realtà basterebbe per rendersi conto che nella “più grande liberaldemocrazia del mondo” i ruoli di potere anche pubblico sono molte volte tramandati di padre in figlio dal 1776 e che negli ultimi trent’anni abbiamo visto due Bush dividersi la Casa Bianca (con un terzo, Jeb, concorrere con Trump) con un Clinton e mezzo.

Non dovrebbe nemmeno essere troppo difficile accorgersi che negli Usa le politiche sono sempre quelle a prescindere da chi sia al Congresso e alla Casa Bianca, mentre in Cina abbiamo visto una fase di “accumulazione primitiva”, una di potenziamento del mercato interno accompagnata da una rivalutazione dello yuan in un’ottica di “internazionalizzazione” delle moneta. Il tutto mentre il Paese tirava fuori 600 milioni di persone dalla povertà in trent’anni e realizzava in vent’anni un piano di urbanizzazione e modernizzazione infrastrutturale che in Europa ha richiesto 150 anni.

La Cina si è inoltre trasformata in operatore finanziario di primissimo piano che con i suoi investimenti diretti esteri promuove progetti infrastrutturali in Africa, Asia ed anche America Latina. Risultati, beninteso, ottenuti senza sparare un colpo di fucile. Chissà come mai un numero sempre crescente di Paesi guarda con favore a Pechino e sfancula gli Usa, vero Rampini?

(di Giacomo Gabellini)