A Macerata il triste spettacolo di una colonia Usa

Fake News, Interferenze russe, antifascismo. Tutto ciò di cui si è ampiamente discusso nel dibattito politico USA nel recente passato – per volontà dei «liberal» – ora si manifesta da noi, con le stesse modalità e il medesimo isterismo. La manifestazione di Macerata di ieri è un altro – l’ennesimo – segnale dell’imperialismo culturale che rende l’Italia poco più che una colonia. Ciò che accade al di là dell’Atlantico, infatti, prima o poi si ripercuote nella nostra penisola, nell’inconsapevolezza più totale di una società sempre più pericolosamente americaneggiante.

Va sottolineato che non c’è alcuna giustificazione per il gesto criminale di Luca Traini, che qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso e civile condanna senza appello. Non è questo il punto, anche se vorremmo meno balbettii sulla vicenda di Pamela che, ricordiamolo, è la vera vittima passata tragicamente in secondo piano. Ma osservate bene i cartelli esposti dalle “femministe” ieri a Macerata e confrontateli con quelli apparsi durante la Women’s March del 21 gennaio 2017: sparite le rivendicazioni di tipo sociale, emergono le istanze più frivole e grottesche tipiche di una società edonista, puritana e moralistica.

Negli Stati Uniti, ciò che viene etichettato perlopiù come «suprematismo bianco» o «Alt-right» – in particolare dopo i fatti di Charlottesville – qua viene chiamato «fascismo»; ciò che negli Usa viene ingigantito a dismisura per delegittimare la vittoria di Donald Trump, in Italia viene declinato agitando lo spettro del Ventennio per dimostrare che il centro-destra è «il mandante morale» di Luca Traini. Una subdola bestialità. Eppure, come nota il prof. Emilio Gentile, non c’è alcun «pericolo fascista» che incombe sulle nostre teste: «Ci troviamo all’inizio del Ventunesimo secolo a riconoscere che praticamente quasi tutto il mondo è infettato dal fascismo. Questo non aiuta a capire quello che sta accadendo in Italia […] Diventa un alibi perché quando si individua un nemico si cerca di coalizzare tutto contro quest’ultimo e lo si ingigantisce quando in realtà non è un pericolo reale e si ignora il pericolo vero […]. C’è un fenomeno, uno svuotamento di ciò che è la democrazia, come metodo e ideale, anche nelle democrazie più anziane e consolidate».

«Non c’è alcun pericolo fascista, dunque, nel nostro Paese – osserva Ernesto Galli della Loggia in un editoriale pubblicato su Il Corriere della Sera – .Il problema è un altro, e proprio per questo l’azione repressiva della legge, pur necessaria in misura maggiore di quanto si sia fatto finora, è solo una parte della soluzione. Il problema è quello di un crescente vuoto socio-culturale e politico che insieme alla disoccupazione e al degrado urbano sta corrodendo e avvelenando pezzi significativi di tessuto popolare e non solo. Come molti segnali lasciano prevedere tale vuoto può essere riempito dai gas esplosivi prodotti dal malcontento frutto dell’immigrazione, e dar luogo in prospettiva alle esplosioni più pericolose. Ma di questo problema che ha il suo centro nelle periferie urbane nessun partito sembra occuparsi o preoccuparsi, la politica su tutto ciò sembra non aver nulla da dire. Dal momento che, è vero, organizzare un corteo antifascista è molto meno impegnativo e consente certamente una dose di retorica in più».

Terminato il corteo, infatti, tutti potranno tornare a indossare i braccialetti elettronici con il sorriso. Si tratta del destino tragicomico dei sudditi del Politicamente Corretto descritti dal filosofo Costanzo Preve: «Il Politicamente Corretto come elemento costitutivo di una nuova formazione ideologica mondializzata nasce negli anni sessanta e settanta negli USA, e non poteva essere diversamente. Gli USA non sono infatti solo un impero economico, politico e militare, ma sono un impero culturale […] In primo luogo, la genesi vera e propria. Si tratta di un episodio interno alla cultura radicale di estrema sinistra negli USA, dalla Vecchia Sinistra (old left), ancora socialista e comunista di tipo europeo, alla Nuova Sinistra (new left), postsocialista e postcomunista, sconfitta al livello della “struttura”, e che cerca una rivincita al livello del costume, dei modi di pensare e della “sovrastruttura”, in particolare per quanto concerne i quattro punti del sessismo maschilista, dell’omofobia, dell’antisemitismo antiebraico e del razzismo contro i “diversamente colorati” (neri, amerindi, eccetera)».

(di Roberto Vivaldelli)