Schiavismo, è davvero così lontano un suo ritorno?

“Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna?”, questo il titolo di uno scritto apparso pochi giorni fa su Econopoly, rubrica de “Il Sole 24 ore” dedicata a “numeri idee e progetti per il futuro”. Sebbene l’articolo assuma toni discretamente provocatori, il significato è chiaro e lampante: lo schiavismo potrebbe essere una soluzione lavorativa di un futuro non molto prossimo.

Nel brano, dopo un’introduzione iniziale sullo schiavismo, e sulla relativa percezione del fenomeno (a detta loro) alterata da secoli di propaganda antiromana, si passa ad un triste, ma reale, accostamento tra la realtà lavorativa di uno schiavo è quella della situazione dell’attuale mercato del lavoro. Tristemente, ma giustamente, l’autore evidenzia le analogie tra le catene fisiche che attanagliavano gli schiavi a quelle digitali che stingono le proprie morse su un lavoratore di oggi, ponendo l’accento sugli ex dipendenti passati poi a partita IVA legati ad una singola azienda.

L’articolo continua poi affermando, e concludendo, che: “Bene inteso non si propone certo un regime di frustate, violenza, o pasto per i leoni. Consideriamo alcune società straniere che già oggi danno una serie di benefici: casa pagata, ticket pranzo, copertura sanitaria, servizio di lavanderia etc… sono tutti benefit che permettono al padrone (pardon, all’azienda) di tenere vicini a se gli impiegati. […]

Se assumiamo che gli aspetti negativi dello schiavismo (sfruttamento, incertezza per quanto riguarda il proprio futuro, mancanza di libertà) sono già di fatto presenti in una larga parte della classe lavoratrice, mi domando se non sarebbe un vantaggio per la comunità e lo stato se le grandi aziende non si facessero carico di un contratto di schiavismo. Dopo tutto la libertà non è per tutti. O no?”.

Tutto ciò, letto anche solo pochi anni fa farebbe semplicemente sorridere. Chi avrebbe mai immaginato durante gli anni ’90, che all’alba del 2020, si potesse parlare dei vantaggi delle schiavismo? Ed anche tutt’ora l’articolo potrebbe essere letto semplicemente come una provocazione atta a suscitare interrogativi nell’opinione pubblica, cosa che probabilmente è. Ma siamo veramente sicuri che tale interrogativo sia così lontano dalla realtà?

Pochi giorni fa Amazon ha annunciato di voler introdurre dei braccialetti elettronici atti a monitorare i propri dipendenti, e monitorarne la produttività. La cosa ha portato GeekWire, blog americano dedicato alle nuove tecnologie, a scrivere: “Amazon si è già guadagnata la reputazione di una società che trasforma i dipendenti, pagati poco, in robot umani che lavorano vicino ai veri e propri robot, portando avanti compiti ripetitivi di packaging il più velocemente possibile”.

Le fantasia e le provocazioni non sono quindi così lontane dalla realtà, considerando che Amazon rappresenta un modello di riferimento per innumerevoli start-up e in generale per numerose aziende.

Questi fatti dimostrano quindi quanto ormai il mondo del lavoro sia regolato da meccanismi che non tengono conto dell’essere umano, considerato ormai alla stessa strega di una macchina, con l’unico obiettivo di produrre ricchezza nelle tasche del padrone – un vero e proprio “schiavismo dal volto (dis)umano”.

(di Pietro Ciapponi)