Roberto Saviano a ruota libera: “l’Iran finanzia il terrorismo”

La tesi di Roberto Saviano secondo la quale l’Iran ha legami con il terrorismo è sintomo di una scarsa conoscenza delle dinamiche mediorientali da 14 anni a questa parte, ossia dall’aggressione terroristico-predatoria USA nei confronti dell’Iraq. Se quest’ultimo non è diventato subito terreno fecondo dell’integralismo sunnita è proprio merito della decisione di Alì Khamenei di imporre, con Nuri al-Maliki, la presenza sciita a Baghdad e finanziare, con l’ausilio del tanto vituperato Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica, le milizie di Mahdi, le quali, oltre a contrastare i miliziani di al-Zawahiri a Fallujah e Ramadi, tennero in scacco Washington comportandole enormi sacrifici umanitari ed economici.

Insultando e svilendo Hezbollah, inoltre, il nostro tuttologo sminuisce e non considera affatto il suo immenso sacrificio nella lotta al takfirismo in Siria, che ha permesso ai cristiani di sopravvivere alle angherie dei takfiri e non finire spazzati via come nella cittadella di Maaloula e ad al-Duvair, in provincia di Homs. I preti ed i vescovi, infatti, insieme al Partito di Dio e la Corrente Patriottica Libera – formazione paramilitare cattolica libanese – hanno difeso e difendono tutt’ora dalle distruzioni il patrimonio cristiano di Aleppo, Homs, Hama e così via. È sufficiente una breve ricerca sul web per verificare. Dire tali falsità fa solo il gioco dei vari soloni dei diritti umani a senso unico che stanno contribuendo a preparare il terreno al regime change filo-occidentale.

Bisogna guardare a livello geopolitico. Una caduta di Teheran rafforzerebbe l’ordine sunnita in Medio Oriente e, per chi ha una minima conoscenza degli eventi del XX secolo, appare chiaro quanto sarebbe un modello fallimentare. I sunniti hanno perso quattro guerre contro Israele, a partire dal 1948, a differenza di Hezbollah. Saddam Hussein, dal 1980 al 1988, non è stato in grado di fare da scudo al revanscismo sciita iraniano. Il decantato “nazionalismo arabo”, anziché fare da collante tra i popoli come il baathismo di Michel Aflaq o il nasserismo di Gamal Abd el-Nasser, ha creato settarismi su settarismi. Oggi, infatti, nel mondo arabo, i leader più popolari sono Hassan Nasrallah, Bashar al-Assad e Mahmud Ahmadinejad. Nessuno di loro è sunnita. Bisogna essere franchi: sono gli Ayatollah a possedere una innata predisposizione ad imporre un sistema di ordine. Il resto è futilità.

La curiosa e anti-storica analisi di Roberto Saviano, tuttavia, ha un lato positivo, in quanto ci fa capire quanta affinità di intenti vi sia tra il clero liberal e i falchi neo-con guerrafondai. Entrambi bramano ardentemente la fase finale della cosiddetta “Long War”, strategia a lungo termine partorita dalla nota “dottrina Wolfowitz” in seno al Pentagono e al PNAC dopo il 2001, dove la rottura dell’accordo sul nucleare e l’invio di maggiori contingenti in Afghanistan – a parole per contrastare i talebani ma nei fatti in funzione di accerchiamento – saranno gli antipasti in vista dello scontro militare con Teheran.

(di Davide Pellegrino)