Perché la lotta di Kemi Seba può anche essere la nostra

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Alcune settimane fa è balzato all’onore delle cronache un personaggio tanto rilevante quanto poco conosciuto del panorama politico africano: l’intellettuale e attivista politico panafricanista Kemi Seba. Quest’ultimo, dopo aver bruciato una banconota di Franco CFA[1] come atto di protesta durante una manifestazione a Dakar[2], è stato arrestato per ordine delle autorità francesi ed incarcerato per la durata di ventiquattro ore. Nella medesima occasione Seba ha ribadito il principio secondo cui “nel ventunesimo secolo, ciascun popolo ha normalmente il diritto di possedere la propria moneta e di decidere del suo avvenire politico”[3]. Ma chi è Kemi Seba? Quali sono le sue attuali posizioni politiche? E soprattutto, cosa può rappresentare la sua lotta panafricanista per chi ancora crede nella nascita di una Grande Europa?

Kemi Seba nasce a Strasburgo nel 1981 ed inizia la sua attività politica alla giovane età di diciotto anni, militando nella Nation of Islam. Nel 2004 fonda il movimento politico Tribu Ka, che due anni dopo verrà sciolto dal governo di Parigi con l’accusa di promuovere la discriminazione razziale e l’antisemitismo. Tuttavia, la sua attività politica prosegue anche dopo tale esperienza e nel 2007 dà vita ad una nuova formazione politica, chiamandola “Génération Kemi Seba” (che in seguito verrà sciolta anch’essa con l’accusa di razzismo). L’anno successivo si converte all’Islam e nel 2011 dalla Francia si trasferisce in Senegal, “dove raggiunge vari gruppi tra cui il movimento mondiale della gioventù panafricana per gli Stati Uniti d’Africa e l’Afrikan Mosaique, […] diventa ministro francofono del New Black Panther Party nonché opinionista nella trasmissione Le Grand Rendez-vous, uno dei talk-show più seguiti d’Africa”[4]. Inoltre, attualmente è presidente dell’organizzazione Urgences Panafricanistes, che da poco ha lanciato una campagna contro il Franco CFA.

Fortemente critico rispetto alle peculiarità del mondo contemporaneo, antimperialista ed antisionista, Seba può essere definito come “l’espressione più attuale del panafricanismo”[5], ovvero quel movimento ideale nato alla fine dell’Ottocento e divenuto nella seconda metà del secolo scorso, contestualmente al processo di decolonizzazione dell’Africa, un autentico movimento politico avente “come obiettivo l’unificazione culturale e politica del mondo africano e dei neri della diaspora”[6]. In un intervista risalente al 2013[7], Seba  attacca violentemente l’“oligarchia” che regge il mondo attuale, affermando che, benché si serva dei discorsi “della virtù, della fratellanza, dell’unità, […] il suo ruolo è quello di asfissiarci, ucciderci, dividerci”. Contestualmente egli nota che “L’Imperialismo nasce e sussiste nel nostro malfunzionamento, e per portarsi a termine, deve distruggere le matrici dei popoli”, ovvero “La nozione di patria, la nozione di famiglia, la nozione di unione uomo-donna, la nozione di procreazione”; di conseguenza, per Seba “La conservazione della propria identità è l’ultimo bastione di resistenza al mondialismo”. D’altronde, già il belga Jean Thiriart nel 1964 sosteneva che “Coloro che ci vogliono annientare mirano alla nazione attraverso la società[8].

In Francia Seba è accusato da più parti di razzismo ed antisemitismo; addirittura, viene etichettato da qualcuno come un “fascista nero” o un “Hitler nero”. Tuttavia, quando nell’intervista sopracitata del 2013 «L’Intellettuale Dissidente» gli chiede quale sia la sua opinione riguardo il concetto di “razza”, egli risponde di non essere particolarmente affezionato a tale nozione, ma convinto del fatto che le caratteristiche fisiche esteriori, insieme a quelle culturali e spirituali, costituiscano gli elementi fondamentali che marcano le differenze fra i vari popoli della Terra. “È in queste differenze che io credo”, ribadisce Seba. Criticando la società multiculturale, egli non esita ad affermare che “il multiculturalismo genera una società multi-conflittuale. Certi popoli non hanno granché da vedere culturalmente, e se è evidente che la condivisione arricchisce, non possiamo neanche negare che la coabitazione forzata distrugge. Lo penso dal più profondo del mio cuore, ne ho fatto l’esperienza, la società multi-conflittuale, ne sono il frutto”.

Nell’ottobre del 2016, durante una giornata in favore della liberazione del politico ivoriano Laurent Gbagbo, Seba incontra a Stoccolma un giornalista del settimanale «Jeune Afrique», al quale spiega brevemente l’evoluzione nel tempo delle sue posizioni politiche: “Quando io vivevo nella zona di Parigi, vedevo il mio popolo umiliato, sottomesso alla negrofobia. Sono stato assai provocatore, è vero. Per me, erano «i Neri contro il resto del mondo». Tuttavia, viaggiando e crescendo, la mia lotta si è derazzializzata. Siamo passati da una contestazione identitaria ad una contestazione sociale, e contemporaneamente geopolitica[9].

Perché la lotta di Kemi Seba può anche essere la nostra

Nel suo libro principale, intitolato Supra-négritude[10], egli sostiene che l’emancipazione del popolo africano dovrà avvenire sulla base di tre assi fondamentali: autodeterminazione, anti-vittimizzazione e virilità popolare. In un post del 14 settembre 2017 sulla sua pagina Facebook (intitolato “messaggio alla giovinezza africana”), Seba chiarisce che la sua attuale lotta contro il Franco CFA va ben oltre le questioni puramente monetarie, in quanto essa “esprime la volontà di sovranità integrale del nostro popolo. La volontà di autodeterminazione politica, militare, culturale, sociale ed economica[11]. Sempre nel medesimo post specifica che “Noi non stiamo cercando una guerra di razza. Noi stiamo solo cercando di ottenere il nostro posto al tavolo dell’uguaglianza. Non vogliamo la supremazia. Noi vogliamo invece definitivamente l’afrocrazia (il diritto all’autodeterminazione per il popolo africano e gli afro-discendenti)”[12]. Tale obiettivo è perseguibile soltanto obbedendo ai seguenti imperativi: “Ottenere (in modo strutturato) la nostra moneta. Cacciare dalle nostre terre le basi militari straniere, le ONG occidentali (o altre) che dicono di volerci aiutare per poi essere in grado di comandarci. Cacciare le multinazionali. Sradicare la cattiva governance, il nepotismo, la corruzione, l’ostracizzazione della matrice dell’umanità che sono le nostre madri, le nostre donne, le nostre sorelle”[13]. Vi è da notare poi che Seba non esita, in diverse occasioni, a definire la propria battaglia politica come una vera e propria lotta di classe, una rivolta del popolo contro le élites (tanto africane quanto extra-africane).  Sempre nel medesimo post su Facebook infatti sostiene la necessità di “Sradicare la prevaricazione sulla maggioranza della nostra popolazione. Il ventunesimo secolo sarà quello delle società civili. Sarà il popolo a governare”.

È evidente, quindi, che l’obiettivo ultimo della lotta politica di Kemi Seba sia la costituzione di un “grande spazio” (nel senso schmittiano del termine) africano, totalmente sovrano e indipendente, tassello fondamentale per la nascita di un autentico mondo multipolare. Dunque, è altrettanto chiaro che ogni vero europeista, che si riconosca nell’ideale di un’Europa unita, autonoma ed autenticamente sovrana, non possa affatto ignorare le rivendicazioni di questo attivista panafricano e del suo movimento politico. D’altra parte, già nel 1964, Jean Thiriart rilevava l’importanza (dal punto di vista geopolitico) del territorio africano per l’Europa, affermando che quest’ultima “non può tollerare in nessun caso che una potenza extra africana si possa insediare in Africa e minacciarla [l’Europa] così sul fianco meridionale”[14].

Alla luce delle cronache di questi ultimi anni e come si può evincere dalle analisi della studiosa americana Kelly M. Greenhill, contenute nel libro Weapons of Mass Migration[15], oggi il territorio europeo è vittima di una strategia destabilizzatrice che fa leva su delle vere e proprie “migrazioni progettate coercitive” (per usare esattamente la terminologia della studiosa). L’Europa, in questo modo, risulta minacciata sul suo lato meridionale, esattamente come temeva Thiriart già nel lontano ’64, e questo proprio perché l’Africa è oggetto di interessi appartenenti a forze esogene. L’unica alternativa a tale situazione, quindi, non può che essere rappresentata dalla nascita di un grande spazio panafricano capace di autodeterminarsi politicamente respingendo ogni tipo di ingerenza straniera dal proprio territorio.

Per essere precisi, vi è da notare che la Greenhill, nel libro sopracitato, distingue fra tre diverse tipologie di “migrazioni progettate coercitive”: “Le migrazioni progettate espropriatrici sono quelle in cui il principale obiettivo è l’appropriazione del territorio o della proprietà di un altro gruppo o gruppi, oppure l’eliminazione di tale gruppo o di tali gruppi in quanto minacciano il dominio etnopolitico o economico di coloro che progettano la migrazione (o le migrazioni); […]. Migrazioni progettate esportatrici sono le migrazioni progettate per rafforzare una posizione politica interna (espellendo dissidenti politici ed altri avversari interni) oppure per sconfiggere o destabilizzare uno o più governi stranieri. Infine, migrazioni progettate militarizzate sono quelle effettuate, di solito durante un conflitto armato, per acquisire vantaggio militare contro un avversario – attraverso la distruzione o la spaccatura del suo centro di comando, della sua logistica o delle sue capacità di movimento – oppure per rafforzare la propria struttura attraverso l’acquisizione di personale o risorse aggiuntive”[16].

Seguendo tale classificazione, è chiaro che oggi l’Europa sarebbe oggetto di vere e proprie “migrazioni progettate esportatrici”, che hanno lo scopo di indebolirla per fare in modo che gli Stati-nazionali che la compongono rilascino concessioni di tipo politico, militare o economico ai “generatori” (generators) del fenomeno migratorio. Attualmente, dunque, nei paesi europei ed in particolare in quelli meridionali (fra i quali vi è senza dubbio l’Italia), si trovano numerosi immigrati che vivono in condizioni estremamente precarie ed in buona parte dei casi soffrono di uno stato di frustrazione permanente.

Riguardo tale situazione, Kemi Seba ha ribadito più volte la necessità di una “remigrazione” degli immigrati africani verso il loro continente originario. Tuttavia, “remigrazione” non sembra essere il termine più adatto e, almeno secondo l’autore di queste righe, sarebbe più corretto parlare di una vera e propria riconquista del continente africano da parte dei suoi originari proprietari. Come si è affermato prima, questa lotta per l’Africa non può affatto lasciare indifferenti tutti coloro che ancora credono nella costruzione di una Grande Europa unita, sovrana e completamente indipendente rispetto al dominio degli Stati Uniti d’America. Attualmente, però, in Europa non esiste ancora un reale movimento politico, dotato di un certo radicamento fra la popolazione (come poteva essere negli anni sessanta la Jeune Europe thiriartiana), che abbia come principale obiettivo quello della costruzione di un’Europa siffatta e si riconosca, almeno in linea di massima, nel Manifesto di Chişinău «per la costruzione della Grande Europa»[17]. Ma non bisogna disperare; un movimento di questo genere, in una contingenza storica come quella in cui ci troviamo attualmente, può ed anzi deve nascere sul territorio europeo. Rispetto a tale obiettivo, la battaglia di Kemi Seba non può che costituire una validissima opportunità; infatti, parallelamente ad essa, potrebbe nascere il nucleo di un ipotetico «Movimento per la Grande Europa», che dovrebbe preoccuparsi di responsabilizzare ed ospitare nelle sue file anche tutti quegli immigrati che attualmente si trovano sul territorio europeo, privi per ora di qualsiasi coscienza politica. D’altronde, è innegabile che i nemici contro i quali si batte Seba (compresi quei poteri finanziari «europei» che sfruttano, per i loro sporchi interessi, numerosi paesi dell’Africa) sono gli stessi di ogni vero europeista e di ogni immigrato africano sradicato e desideroso di riscoprire la propria identità. Questo ipotetico «Movimento per la Grande Europa», quindi, dovrà preoccuparsi di sensibilizzare, in Europa, tanto la gioventù europea quanto quella africana immigrata, per fare in modo che bianchi e neri si uniscano e condividano la medesima battaglia, che ha come ultimo obiettivo quello della costituzione di due grandi spazi altrettanto liberi e sovrani: la Grande Europa e la Grande Africa. Insieme, bianchi e neri, dovranno scandalizzare i morti viventi che dominano la scena politica contemporanea: i «destri», mostrando loro un autentico sodalizio inter-etnico, inter-culturale ed inter-religioso contro un comune nemico politico, così come i «sinistri», dimostrando loro una forza di volontà, una determinazione, un ordine ed una disciplina interiori tali da far inorridire le loro velleità pacifiste. Non è da escludere, poi, che un’avanguardia di militanti europei, dietro ai loro compagni «remigrati», possa partecipare alla lotta di Seba proprio sul territorio africano.

Nel 1964 Jean Thiriart elaborava il suo concetto di nazione come comunità di destino, ovvero come avvenire in comune, al di là delle differenze etniche, linguistiche, culturali e religiose che potevano dividere i suoi componenti. Tale concetto va recuperato oggi più che mai. L’auspicio è quello che possa nascere una nazione «meticcia» (come direbbe qualcuno che dovrebbe essere profondamente disprezzato da ogni vero europeo così come da ogni vero africano), fatta di bianchi e di neri accomunati dagli stessi nemici, che tuttavia non combatterebbero per la nascita di una sola entità politica sovrana (com’era nel progetto thiriartiano di nazione europea), bensì per la costruzione di due grandi spazi politici differenti, altrettanto autonomi e indipendenti, che un domani, chissà, potrebbero anche dar vita ad una alleanza o ad un blocco geopoliticamente strategico.

Infine, come si dice nel Manifesto di Chişinău, occorre ricordare che il progetto di un mondo multipolare è aperto all’adesione di tutti coloro che vogliono riscoprire la propria identità in un pluriverso politico equilibrato ed armonioso: “Lavorando insieme, affermando con forza le nostre identità specifiche, riusciremo a fondare un mondo equilibrato potenzialmente giusto e migliore. Un mondo pacifico, dove tutte le culture, fedi, tradizioni o creazioni troveranno la loro legittima collocazione”[18].

(di Lorenzo Disogra)

 

[1] Il Franco Cfa è una moneta emessa e controllata a Francoforte, con un tasso di cambio fisso sull’euro, avente attualmente corso legale in numerosi paesi africani che furono colonie francesi. Per un breve approfondimento riguardo le implicazioni del Franco CFA, si veda http://contropiano.org/news/news-economia/2017/08/31/due-cose-sul-franco-cfa-sulleuro-lafrica-095189

[2] Tale manifestazione, tenutasi nella Piazza dell’Obelisco il 19 di agosto, sarebbe stata lanciata proprio da Kemi Seba per protestare contro la Françafrique

[3] Mehdi Ba, Kemi Seba l’incendiaire, “Jeune Afrique”, anno 57°, n. 2956, 3-9 settembre 2017, p. 32.; traduzione nostra

[4] http://www.lintellettualedissidente.it/inevidenza/chi-e-kemi-seba/

[5] http://www.occhidellaguerra.it/kemi-seba-sovranista-africano-arrestato-aver-bruciato-un-franco/

[6] http://www.treccani.it/enciclopedia/panafricanismo_%28Dizionario-di-Storia%29/

[7] http://www.lintellettualedissidente.it/ars-disputandi/lintellettuale-dissidente-incontra-kemi-seba/

[8] Jean Thiriart, L’Europa: un impero di 400 milioni di uomini, Avatar Éditions, Dublino 2011, p. 63; corsivo nostro

[9] M. Ba, Kemi Seba l’incendiaire, cit., p. 33; traduzione e corsivo nostri

[10] Kemi Seba, Supra-négritude. Autodétermination, antivictimisation, virilité du peuple, Éditions Fiat Lux, Paris 2013

[11] Traduzione e corsivo nostri

[12] Traduzione e corsivo nostri

[13] Traduzione nostra

[14] Jean Thiriart, L’Europa: un impero di 400 milioni di uomini, cit., p. 28

[15] Kelly M. Greenhill, Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercion and Foreign Policy, Cornell University Press, Ithaca and London 2010. Per una valida recensione del libro della Greenhill, si veda https://www.eurasia-rivista.com/kelly-m-greenhill-weapons-of-mass-migration-forced-displacement-coercion-and-foreign-policy-cornell-university-press-ithaca-london-2010/

[16] K. M. Greenhill, Weapons of Mass Migration, cit., p. 14; citato in Claudio Mutti, Migrazioni, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XII, n. 4, Ottobre-Dicembre 2015, pp. 6-7. L’editoriale di Mutti è leggibile anche in rete: https://www.eurasia-rivista.com/migrazioni/

[17] Autori vari, Manifesto di Chişinău «per la costruzione della grande Europa», “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XIV, n. 3, Luglio-Settembre 2017, pp. 181-185

[18] Autori vari, Manifesto di Chişinău «per la costruzione della grande Europa», cit., p. 184

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