Canfora contro Fiano: “Scatenarsi sui simboli è una ginnastica inutile”

La damnatio memoriae non è certo una pratica innovativa: già il diritto romano prevedeva la cancellazione della memoria degli “hostes” – i veri o presunti nemici di Roma – da attuare mediante la distruzione o lo sfregio di monumenti ed effigi a loro dedicati e la censura di testi storiografici. I posteri dovevano rimanere all’oscuro della stessa esistenza di tali personaggi: tutto doveva continuare come se non fossero mai esistiti.

Com’è facile immaginare, le conseguenze di questa pratica furono pesanti, tant’è che persino ai giorni nostri gli storici faticano a ricostruire il corso di un gran numero di eventi. In tempi recenti, abbiamo visto la damnatio memoriae abbattersi su personaggi quali Saddam Hussein e Mu’ammar Gheddafi, così come su Cristoforo Colombo e il generale Lee nei “civilissimi” Stati Uniti d’America. Per non parlare, ovviamente, di quanto avvenuto a Palmira per mano dell’ISIS.

Recentemente intervistato dal Giornale, Luciano Canfora ha fatto riferimento a questo esecrabile fenomeno per commentare il ddl Fiano, il quale, se approvato, arriverebbe a punire persino per chi detiene semplici gadget raffiguranti Benito Mussolini e altri simboli del fascismo. Il celebre storico barese ha affermato che la distruzione delle effigi «è un qualcosa che si può spiegare nei momenti caldi di conflittualità. Quando sono passati anni invece ci si aspetterebbe che prevalessero ragionamenti diversi improntati a logiche più serene». Insomma, la proposta di Fiano sarebbe stata comprensibile una settantina d’anni fa.

Comprensibile, certo; ma giusta? «In generale», prosegue Canfora, «credo si possa dire che scatenarsi sui simboli sia una ginnastica inutile. Che facciamo, ci mettiamo a cambiare tutti i tombini che hanno un fascio littorio sopra? Abbattiamo l’Eur? Che senso ha? [Apologia, ricostituzione del partito fascista e patrimonio culturale] sono tre piani diversi. Confonderli non porta a niente di utile».

Sembra infatti chiaro che una calamita o un busto del Duce su una scrivania non costituiscano un pericolo per la democrazia, così come non lo costituisce l’obelisco del Foro Italico – o il Foro Italico stesso –, per non parlare dell’Università La Sapienza, altro tipico esempio di edilizia fascista.

«L’arco dell’imperatore romano Tito», ci ricorda il professore, «celebra la distruzione del tempio di Gerusalemme. È un monumento quanto mai esecrabile per gli ebrei ma nessuno si è mai sognato di chiederne l’abbattimento […]. Quello dei monumenti è un terreno sbagliato in cui portare il dibattito. E in generale lo è quello della censura. Anche il Mein Kampf è giusto pubblicarlo, con un corretto apparato. È inutile parlare di male assoluto se le persone, questo male, non possono vederlo e valutarlo».

È proprio questo il punto, a nostro parere. Se Freud ci ha insegnato qualcosa è che il meccanismo di rimozione di un trauma non elimina il trauma stesso: rimanendo nascosto nella psiche, frustrato e represso, esso determina infatti l’insorgenza di disturbi e nevrosi di varia natura ed entità. L’unico modo per superare lo shock è infatti riportarlo alla memoria. Affrontarlo, guardarlo dritto in faccia, capirlo.

Purtroppo, quella parte d’Italia che è rimasta ferita dall’esperienza del fascismo storico sembra non aver ancora trovato la via della guarigione. Sembra anzi in piena fase nevrotica. A pagarne il prezzo, però, saranno i posteri e l’intera collettività. Ci auguriamo che il Senato, a differenza della Camera, lo capisca.

(di Camilla Di Paola)