Ammettiamolo: quella vergogna di Charlie Hebdo è colpa nostra

“Dio esiste: ha annegato tutti i neonazisti in Texas”. Mani che  accennano un saluto nazista, nel disperato tentativo di chiedere aiuto, sommerse dalla pioggia diluviante.

Insomma, Charlie Hebdo continua a non avere alcun rispetto per nessuno: morti, vivi, credenti, ricchi, poveri…Io però vorrei soffermarmi su altro: ovvero su quanto mi fanno pena quelli che ora “la attaccano” dicendo che la satira “deve colpire i potenti” (cosa indiscutibile ma non è quello il punto) e che solo per questo sarebbe criticabile.

Come se quanto disegnato e pubblicato contro le vittime di Amatrice o contro quelle del Texas fosse giustificabile se indirizzato a persone che navigano ai piani alti della società. Il tutto condito dalla innata incapacità di non far ridere del settimanale francese, ma vabbé, quella ormai è sdoganata da così tanto tempo che mi pare futile ritornarvi.

La verità è che prima ancora di Charlie Hebdo è questo concetto totalmente snaturato della satira a fare pietà (una delle numerose caprate che da noi si sono palesate nel periodo berlusconiano tra l’altro): l’idea anzitutto che si possa sputare addosso senza limiti, arrivando perfino alla vita, ricca, povera, potente o sottomessa che sia.

Poi l’ancora peggiore assunto secondo il quale se si umilia senza alcuna vergogna “facendo satira” va bene ed è lecito, perché “tanto è satira”. Poco importa se la vittima viene condotta sottoterra, perché la forma giustifica tutto.

È un po’ come il bullismo a scuola: se ti emargino, ti dico che sei brutto, inutile, scemo e ridicolo insieme a tanti altri, ma poi si chiude tutto con un bel “beh, ma stiamo scherzando!” allora tutto liscio, i danni morali, psicologici e soprattutto sociali che ne conseguono possono essere ignorati.

Questa re-interpretazione della satira fa pietà, schifo e ribrezzo. Perché di tale si tratta, basta andare a leggersi cosa significhi davvero la parola e cosa si intendesse davvero per “scherno” in quella antica.

Già è significativo notare che tra la definizione riportata dalla Treccani della parola “satira” e quella del dizionario del Corriere della Sera, ci passino non uno, ma due oceani. La prima, molto più articolata, traccia benino la storia della disciplina trovandone origine nel poeta Ennio. La seconda è molto più sintetica. Non prendo nemmeno in considerazione la descrizione breve di google, l’unica che introduce la parola “scherno”.

Non esiste, nella satira antica e nemmeno moderna precedente alla seconda metà del XX secolo, questa umiliazione costante di un altro essere umano in senso dispregiativo, mentre prevale il lato comico: dai primi esempi attribuiti a Senofane (i Silli) e ad Omero, non certo noto per i componimenti satirici (Margite).

Nemmeno Aristofane, considerato un satiro politico per eccellenza dell’antichità, offende e umilia così tanto l’essere umano o una categoria, potente o meno che sia. Non lo fa in Vespe (422 a.C.) dove prende di mira la corruzione nei giudici del città, e nemmeno in Nuvole, l’opera sua considerata migliore dagli esperti, sebbene di poco successo al tempo.

Nel libertinissimo XVIII secolo, la satira spopola: ma in nessuno degli autori sussiste questo tipo di volgarità toccata oggi, di cui Charlie Hebdo può essere “orgogliosamente” capopopolo. Nemmeno in Johnathan Swift, poeta irlandese che durante la sua attività prese di mira praticamente tutto, inclusa la Chiesa anglicana in Favola delle botte (firmata al tempo anonimamente).

Ma anche nelle ultime forme relativamente moderne del XIX secolo, la satira non è insulto. Andatevi a leggere ogni singola cartolina de L’Asino, rivista satirica italiana pubblicata tra il 1892 e il 1925. Rendetevi conto della differenza. Una di queste, popolarissima, di Gabriele Galantara, prende di mira l’influenza ancora forte della Chiesa nella società italiana e la intitola “Il Potere clericale”.

Gabriele Galantara, “Il Potere clericale”, 1906

Proprio la stessa cosa di una Trinità atta a fare sesso in una sorta di orgia a tre, non c’è che dire. La leggenda della satira sdoganata come insulto libero è una delle peggiori vulgate mai diffuse dalle élite e dai ceti medi semicolti al seguito negli ultimi decenni.

Non solo. Si tratta anche di una volgarizzazione, pavoneggiata da sedicenti esperti senza aver esaminato un singolo caso degli esempi del passato, di un crimine contro l’essere umano, uno dei tanti delle società liberali: intimo, più subdolo, ma consentiteci di gridarlo, fa veramente vomitare. Ancora più triste leggere chi fa il fenomeno difendendolo pure o, quando messo alle strette, criticandolo “perché non colpisce i potenti, ehi!”.

Charlie Hebdo è il frutto anche di questa legittimazione tutta moderna dell’insulto e della volgarità, dell’insensibilità oltre ogni limite. Senza, non sarebbe mai nato. E questa legittimazione gliel’abbiamo data tutti, come società anzitutto.

(di Stelio Fergola)