Trump taglia i fondi ai “ribelli moderati”, ma non ai curdi

La decisione di Donald Trump di sospendere gli aiuti ai “ribelli moderati” in Siria è un grande successo diplomatico della Russia che ne conferma, sempre di più, il ruolo di potenza con strategie che non puntino all’azione militare aprioristica, ma al dialogo, alla pace e alla cooperazione.

Perché, che se ne dica, i meriti di tutto questo sono di Vladimir Putin e la sua leadership dimostrata durante il bilaterale avuto al G20 ad Amburgo. Tuttavia, è a breve termine; gli USA escono dalla porta e rientrano dalla finestra. Raqqa, infatti, in queste ore, è sotto assedio e quando sarà derattizzata dall’ISIS verrà probabilmente occupata dai separatisti curdi di YPG e SDF alla luce del supporto logistico a loro fornito dalla recente scesa in campo della NATO dopo il summit di Bruxelles tenutosi il 25 maggio. La capitale dello Stato Islamico, a livello geografico, dista parecchi chilometri dal territorio etnico curdo rappresentato da Kobane e parte della Turchia, ragion per cui la sua occupazione non rientra in una logica separatista o di liberazione, bensì di terrorismo proxy con fini imperialisti, favorito dalla presenza limitrofa di un numero sempre crescente di basi militari a stelle e strisce.

Gioire, giustamente, dell’abbandono della marmaglia takfira al suo destino ma, al contempo, soprassedere sull’occupazione curdo-statunitense del Rojava in un’ottica di un Kurdistan abusivo (e satellite) significa dichiarare guerra all’integrità territoriale della Siria e invaderne il territorio. Insomma, ci si rende complici, volente o nolente, dell’imperialismo.

(Di Davide Pellegrino)