Bernie Sanders e l’imperialismo di sinistra

Gli Stati Uniti d’America sono una nazione predatrice, storicamente sviluppatasi sui fondamenti del furto, dello sterminio e dello schiavismo. La fenomenale espansione geografica e crescita economica di questa repubblica schiavista sono fenomeni scaturiti dallo sfruttamento della manodopera africana importata sulle navi negriere e della spietata espropriazione delle terre dei nativi americani attraverso guerre genocide, un’ininterrotta scia di sangue glorificata e mistificata prima attraverso il concetto di “Destino Manifesto” ed esaltata ora come “eccezionalismo americano”, una giustificazione intrinsecamente razzista per crimine su larga scala perpetrato sia nella sfera domestica che in quella internazionale. Assemblato metro per metro fino a divenire un immenso coacervo di metastasi infette, l’impero statunitense pretende dai suoi sudditi una fedeltà fondamentalmente sradicata da qualunque forma di contratto sociale – una struttura politica meticolosamente assemblata al fine di garantire l’egemonia della classe bianca dominante.

Il progetto americano non è altro che un eterno susseguirsi di guerre di aggressione che ne hanno plasmato i confini, le relazioni sociali interne e le prospettive e ambizioni globali. L’identità più profonda degli Stati Uniti è quella di uno stato ferocemente capitalista che ha realizzato la propria brama di predominio rispetto alle potenze europee attraverso il diretto assorbimento dei territori invasi, la selvaggia e bestiale oppressione dei popoli nativi e l’enorme accumulazione di capitale grazie a un sistema di schiavismo di un’efficienza diabolica – una gigantesca opera di mercimonio della vita umana. Dopo l’abolizione formale della schiavitù, il sistema è passato attraverso la fase della segregazione razziale per giungere alla metamorfosi contemporanea dell’incarcerazione di massa dei neri – una guerra perpetua il cui obiettivo è la reclusione fisica e politica dell’America di colore.

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno ricoperto il ruolo di protettore del bottino accumulato dalle potenze europee in cinque secoli di rapine e occupazione violenta: quello stupro scientemente organizzato di nazioni intere che chiamiamo colonialismo. Il primo presidente nero nella storia americana, Barack Obama, è stato fra i più strenui difensori della supremazia bianca che siano esistiti, adoperandosi senza sosta al fine di preservare i privilegi e i vantaggi acquisiti dalle nazioni occidenali mediante il colonialismo e lanciando a questo scopo un’ininterrotta offensiva militare con l’obiettivo mirato di strangolare il gigante cinese e di prevenire la possibilità di una solida collaborazione eurasiatica. La prima fase di tale offensiva, ovvero lo smembramento della Libia nel 2011, ha consentito agli Stati Uniti di completare l’occupazione militare del continente africano attraverso AFRICOM.

Gli Stati Uniti e i vassalli NATO sono responsabili di oltre il 70% delle spese militari globali, ma Obama e il suo successore Donald Trump pretendono che l’Europa aumenti la proporzione dell’investimento economico nell’industria bellica. Oltre il 50% della spesa discrezionale statunitense (ovvero i dollari delle tasse non destinati a programmi sociali o di sviluppo) è fagocitato da quello che il Dr. Martin Luther King definì mezzo secolo fa “il demoniaco, distruttivo tubo di suzione” della macchina da guerra statunitense.

Gli USA sono privi di un sistema sanitario nazionale, perché il paese investe nella guerra e nella distruzione, non nella sanità o nell’uguaglianza sociale. La sinistra americana è di gran lunga la più debole rispetto a tutti gli altri paesi industrializzati, perché la nazione statunitense non si è mai sottratta alla dinamica visceralmente razzista e predatrice sulle cui fondamenta l’impero è stato costruito, e che ha amputato e deformato ogni possibilità di un reale contratto sociale fra i suoi abitanti. Negli Stati Uniti, il progresso è definito in base all’egemonia globale, principalmente in termini militari, e non si estende all’idea di uno sviluppo sociale interno.

Gli americani sono ottusamente convinti di godere di condizioni materiali superiori rispetto alle popolazioni che abitano gli altri paesi industrializzati, una falsità che ottenebra le coscienze a causa dell’ossessione tipicamente americana della superiorità militare rispetto al resto del pianeta. È inoltre da sottolineare come la maggioranza degli americani bianchi avanzi pretese sulle briciole dell’egemonia statunitense in quanto parte integrante del loro patrimonio, nonostante i frutti dell’oppressione non siano in definitiva alla loro portata e si concentrino esclusivamente nelle mani della classe dominante (“NOI abbiamo reso grande questo paese”).

Naturalmente, questo atteggiamento non è prerogativa esclusiva del bacino elettorale di Trump. Le dinamiche razziali negli Stati Uniti non possono essere compresi se non nella cornice storica della guerra: il mantenimento del costante stato di guerra razziale è una delle funzioni centrali dello stato americano. La protezione dei “valori americani”, la lotta al “crimine” e al “disordine urbano” altro non sono che eufemismi volti a mistificare la preservazione della supremazia bianca.

La guerra non è un aspetto secondario della macchina statunitense, ne è al contrario il motore principale sul quale ogni altra cosa è imperniata. La mania della guerra è la grande nemica di ogni forma di progresso sociale, specialmente nel momento in cui disparate forze sociali si uniscono, in opposizione ai propri interessi, al servizio di uno stato imperialista asservito agli interessi della rapace classe dominante bianca e capitalista.

La propaganda russofoba in perfetto stile “Blitzkrieg” orchestrata dal Partito Democratico, in collaborazione con i media di regime e con altri funzionari e vassalli della classe dominante statunitense, esemplifica alla perfezione la natura profondamente, radicalmente guerrafondaia di tale istutizione politica nella congiuntura storica contemporanea. I Democratici rappresentano l’antitesi di qualunque politica che possa essere definita in qualche modo progressista. Bernie Sanders è un membro altamente rispettato del Partito Democratico, all’interno del quale riveste posizioni di rilievo: tutto ciò fa di lui, nelle parole di Paul Street, “un cane pastore dell’imperialismo fintamente socialista con l’obiettivo di irretire quelli di noi appartenenti alla cosiddetta sinistra radicale che si sono lasciati ammaliare dalla sua retorica”.

Sanders è un guerrafondaio, non soltanto per associazione ma in virtù delle posizioni che sostiene. Si è dichiarato a favore dell’estensione alle sanzioni contro la Russia, in aggiunta a quelle annunciate nel 2014 e nel 2016 contro Mosca come punizione per la misurata risposta del Cremlino del golpe fascista di matrice americana contro il governo ucraino democraticamente eletto. Anziché arrendersi alla prepotenza statunitense, la Russia si è militarmente schierata in sostegno del governo siriano sovrano e scelto dal popolo, disturbando quindi i piani americani di destabilizzazione e il sostegno a stelle e strisce al fondamentalismo jihadista.

Ad aprile, Sanders ha deliziato il pubblico NBC con una sua personale interpretazione del padrino in risposta a una domanda circa la possibilità di “sedersi al tavolo con i russi”: “Credo che dovremmo far loro un’offerta che non potranno rifiutare. E questo significa dare un netto giro di vite, usare le sanzioni, dire loro che abbiamo bisogno del loro aiuto, che devono sedersi al tavolo con noi e non continuare a sostenere questo terrificante dittatore”. Naturalmente, gli Stati Uniti hanno sabotato a sangue freddo qualunque tentativo di raggiungere accordi internazionali per contrastare i tagliagole jihadisti in Siria.  Sanders è un fermo sostenitore del cambio di regime, il che significa che il senatore è convinto del diritto divino degli Stati Uniti, con vassalli al seguito, di ignorare dettagli quali il diritto internazionale in nome dell’eccezionalismo nazionale.

“Dobbiamo lavorare con altri paesi del mondo per giungere a una soluzione politica in Siria per liberarci di quell’uomo [il presidente eletto dal popolo Bashar al-Assad] e portare finalmente pace e stabilità in una regione che ha subito così tante perdite”. Durante la campagna presidenziale 2016, Sanders ha esortato gli Stati Uniti a interrompere le azioni unilaterali per collaborare invece con i vicini arabi della Siria – proprio quegli stessi vicini (Arabia Saudita e Qatar) che addestrano e finanziano i mercenari tagliagole jihadisti.

Come riportato da Politico, il sito di Sanders riportava una dichiarazione circa la necessità di “tagliare del 50% le spese militari nell’arco dei prossimi cinque anni”. Ma il fervore del senatore si è esaurito dopo la criminale invasione dell’Iraq orchestrata dall’amministrazione Bush. Al momento, Sanders si limita alle consuete banalità trite e ritrite a proposito degli “sprechi del Pentagono”, ma non articola alcuna posizione coerente contro la depravata missione imperiale degli Stati Uniti nel mondo. “Abbiamo bisogno di essere militarmente forti, il nostro è un mondo pericoloso”, ha dichiarato Sanders durante un raduno elettorale in Iowa.

Come ha rimarcato Paul Street, “Sanders è un imperialista… Un agente del Partito Democratico”.
Al “People’s Summit” di Chicago che ha avuto luogo la scorsa settimana, il direttore esecutivo di National Nurses United RoseAnn DeMoro, ha dichiarato il suo sostegno a Sanders in una missione per lui impossibile da accettare: candidarsi alla presidenza nel 2020 con il “Partito del Popolo”. Sanders ha già avuto la possibilità di candidarsi con i Verdi e ha rifiutato. Il senatore è ora il secondo più importante membro del Partito Democratico americano (dopo il corrottissimo duopolio Bill-Hillary), e di gran lunga il più popolare.

In più, Sanders si compiace del suo ruolo di eroe della sinistra dei sepolcri imbiancati, il capofila in cui i liberali della pseudo-sinistra ripongono le loro artefatte speranze di creare su due piedi un partito nazionale su misura per loro, rendendo quindi superflua la fondazione di un partito realmente contro la guerra e per il popolo, che costituisca quindi un’opposizione seria alle due aberrazioni mostruose che sono Democratici e Repubblicani.
Sanders non deve nemmeno fare lo sforzo di illudere i paladini del “Partito del Popolo”: si illudono già magnificamente da soli.

Gli Stati Uniti avrebbero bisogno di un partito socialdemocratico, ma questo partito dovrebbe categoricamente prendere posizione contro la guerra; in caso contrario, non sarebbe altro che un grottesco tradimento della democrazia sociale. Gli Stati Uniti sono la superpotenza imperialista, il principale aggressore militare del pianeta. La classe dominante deve essere privata della possibilità di spendere miliardi in armi e di trucidare milioni di vittime, o la “necessità della guerra” continuerà a essere usata come pretesto per implementare disumane misure di austerità. Il progetto di una “sinistra” domestica fallirà miseramente.

Per quelli di noi che si sono formati nella Tradizione Nera Radicale, l’antimperialismo è di una centralità assoluta. La soliderietà con le vittime dell’imperialismo statunitense non è negoziabile: noi non abbiamo nulla da spartire con le forze politiche che trattano la guerra come un tema di secondaria importanza, una questione “facoltativa” scissa dalla giustizia sociale interna. Non è solo un fatto di principio, si tratta anche di una considerazione pratica. L’imperialismo “di sinistra” non è solo diabolico, è anche autodistruttivo e demenziale.

(di Glen Ford – Traduzione di Maria Teresa Marino)