L’immigrazione mette in crisi anche Svezia e Lussemburgo

La capitale morale d’Europa. In Svezia l’accoglienza è vista come un dono e l’integrazione un obiettivo – anche se l’integrazione ha prodotto quartieri ghetto e palestre di combattenti stranieri. Il modello Svezia ha iniziato scricchiolare da un po’, da quando un eccessivo permissivismo di “Stato” e il “senso di colpa bianco” ha creato “quartieri stato” come Rinkeby, a Stoccolma, cittadelle invalicabili dove coabitano in un’apparente contraddizione centri islamici wahabiti, spaccio e prostituzione. Quartieri alveare che hanno donato alla “causa” jihadista martiri e attentatori.

L’attentato del 7 aprile scorso sembra aver svegliato la Svezia da un torpore decennale, ha schiodato i molti da una “illogica / logica” dell’accoglienza a tutti i costi. La Svezia si risveglia, il Re è quasi nudo e mostra le ferite, il modello socialdemocratico comincia a mostrare crepe. Dopo anni la disoccupazione una volta fisiologica comincia a crescere. Numeri che se visti dal Sud Europa sembrano quasi ridicoli, ma contestualizzati allarmano anche gli economisti più terzi e ottimisti.

Per la prima volta la disoccupazione generale arriva al 4%, dopo anni in cui oscillava tra il 3,6 e il 3,8%. Ma l’allarme sociale che turba i sogni e la quiete nordica riguarda gli immigrati. Quel 23% di disoccupati tra i nuovi arrivati, praticamente destinati a restarci, provenienti in maggioranza da Afghanistan e Somalia “restii ad integrarsi, non vogliono imparare nessuna lingua e con un alto tasso di analfabetismo, sopratutto tra le donne. Immigrati che di solito trovavano fisiologicamente dei lavori manuali e di logistica. Ma si tratta di settori che iniziano a saturarsi”, ha affermato Annika Sundén, dirigente incaricata dal governo a cercare occupazione ai nuovi immigrati, alla radio e alle TV nazionali.

Ergo, nonostante un PIL galoppante che cresce del 3,1% annuo e un avanzo primario dello 0,6% , il 23% di disoccupati tra gli immigrati rappresentano una gatta da pelare, 23% che andranno presto ad ingrossare le fila non solo dei quartieri ghetto ma sopratutto le casse dello stato sociale, assegni di disoccupazione, maternità e sanitari. Un sistema di welfare già messo sotto stress da un’ondata migratoria in continua crescita dal 2011. In crescita come il malcontento popolare. Infatti alcuni sondaggi pubblicati da Demos allarmano il governo rossoverde. Per la prima volta il 48% dei cittadini svedesi guarda in maniera pessimistica il futuro (nel 2013 erano appena il 22%), il 45% vede nell’immigrazione africana e islamica il primo problema nazionale e il 52% ha paura di perdere in sicurezza nazionale, pensioni e stato sociale.

Numeri e timori una volta inimmaginabili in un’isola di quiete e benessere come la Svezia. Un malcontento che interessa maggiormente le province e le classi popolari, insicure e le prime a tastare la, seppur lieve, crescita della disoccupazione e la coabitazione con il massivo flusso migratorio. Un altro sondaggio della TV nazionale di marzo scorso rivela che oltre il 60% di svedesi ha più difficoltà ad accedere al welfare. Rilevano per la prima volta ritardi nei sussidi e nella previdenza. Disaffezione e disagio che si trasformano in consenso per i movimenti cosiddetti “populisti”. A meno di due anni dalle elezioni politiche il Partito Democratico svedese , che si autodefinisce “sovranista e identitario” segna uno storico 16,8% nei sondaggi, un aumento di consensi raddoppiato in appena 3 anni.

Così, mentre il modello Svezia comincia a barcollare a causa di un flusso migratorio in continua crescita e “destabilizzante”, un’altra “patria” del benessere (e delle banche) alza bandiera bianca e mette un freno all’arrivo degli immigrati: è il Lussemburgo del presidente della commissione Europea Juncker. Il granducato ha infatti annunciato la riduzione della quota giornaliera per i richiedenti asilo da 25 a 23 euro (parliamo del paese più ricco del Continente, con un costo della vita che chiamarlo alto è un eufemismo, dove la quota giornaliera per l’accoglienza era già di gran lunga inferiore a quella italiana, paese con un PIL 4 volte inferiore al Lussemburgo e con problematiche occupazionali e sociali maggiori) e lo stop “momentaneo a nuovi ingressi”. Insomma, un paese messo in “crisi” e in allarme “identitario”, come ha dichiarato il dipartimento all’immigrazione del Granducat,…. da appena 1400 richiedenti asilo! Numero equivalente ad una mezza giornata di sbarchi in Italia.

Lussemburgo e Svezia, paesi che vanno in crisi di welfare ed accoglienza e che cercano di porre un filtro a nuovi arrivi e nuovi accessi allo stato sociale, ma che in più di un’occasione non hanno esitato a redarguire l’Italia (l’unica dai dati Frontex del 17 maggio 2017 a segnare un +84% di arrivi nel 2016 a fronte di una media -46% del resto dei paesi UE e a investire un miliardo in più in accoglienza rispetto all’anno scorso : 4,6 miliardi) in merito ai numeri e ai metodi di accoglienza secondo loro “inadeguati”. Insomma, sono tutti accoglienti… con il welfare degli altri.

(di Luigi Ciancio)