Elezioni francesi: governance contro popolo

Le elezioni presidenziali francesi 2017 non sono uno scherzo. Sta prendendo forma quella che sarà una formidabile opposizione tra due concezioni profondamente diverse della vita politica. Da un lato, la “governance”, ovvero l’amministrazione della società operata dall’élite finanziaria secondo il modello gestionale delle multinazionali. Dall’altro lato, il tradizionale sistema un tempo chiamato “democrazia”, ovvero la scelta di un capo di stato da parte del popolo attraverso libere ed eque elezioni.

Storicamente, gli eventi politici francesi segnano svolte importanti e rappresentano una possibilità di fare luce su importanti dicotomie, cominciando dalla distinzione sempre più sfumata tra destra e sinistra. Cerchiamo di analizzare la situazione.

Che cos’è la governance?

Oramai da tempo, la crema del potere atlantista ha stabilito che la tradizionale democrazia rappresentativa non è un sistema appropriato ad un mondo globalizzato, costruito sulle fondamenta della libera circolazione del capitale. Il modello di preferenza è quello della “governance”, una parola originariamente utilizzata nella dimensione della finanza che fa riferimento alla gestione il più possibile efficiente e basata esclusivamente sul perseguimento del profitto nelle grandi imprese multinazionali.

La subordinazione della politica alla finanza è evidente nell’approccio metodologico della “governance”: un’obbligatoria unanimità per ciò che concerne i valori diffusi con martellante insistenza dagli ossequiosi media allineati; la formazione di comitati speciali al fine di elaborare soluzioni specifiche alle questioni più delicate; l’uso della psicologia e della comunicazione per manipolare a piacimento l’opinione pubblica; l’isolamento sistematico delle personalità “non allineate”; e, naturalmente, l’assimilazione delle figure politiche entro le strutture dominanti del sistema.

Tutte queste caratteristiche sono intrinseche al corrente sistema occidentale. Negli Stati Uniti, la transizione da democrazia a governance è stata operata attraverso l’interscambiabilità dei due principali partiti, effettivamente speculari a livello di contenuti, finanziati e sostenuti dal potere finanziario in cambio di pedissequo asservimento agli esclusivi interessi della lobby finanziaria e militare.

La stessa Hillary Clinton ha più volte utilizzato il termine “governance” per definire i suoi obiettivi politici, naturalmente in coppia con Goldman Sachs e altri rappresentanti della cosiddetta “società civile”. Il rampante candidato francese Emmanuel Macron è costruito a immagine e somiglianza di Hillary nel suo costituirsi come puro distillato del sistema globalista.

La governance personificata

Un modo efficace per comprendere il ruolo assegnato a Macron consiste semplicemente nell’analizzare la sua esposizione mediatica: negli scorsi mesi, si sono susseguiti sistematicamente flussi ininterrotti di copertine di riviste, lusinghieri ritratti da parte di giornalisti compiacenti, interviste traboccanti di artificialissime banalità – e mai una parola che assomigliasse a una critica, marcando così una netta differenza rispetto ai rivali sistematicamente demoliti. In gennaio, la rivista Foreign Policy ha introdotto Macron ai lettori dipingendolo come il candidato «tanto atteso dall’Europa, che parla correntemente l’inglese e ama la Germania».

Basta leggere il curriculum del signore in questione per capire le attrattive che cotanto novello Messia esercita sui media occidentali. Nato 39 anni fa ad Amiens, Emmanuel Macron ha investito molto nella propria educazione. Come molte delle personalità politiche francesi, ha studiato in alcune delle più famose istituzioni educative del paese (ha frequentato Science Po e l’ENA, senza però riuscire a passare l’esame di ammissione alla prestigiosissima Scuola Normale Superiore). I media statunitensi hanno dato grande risalto all’inclusione di studi di filosofia nel suo percorso formativo, materia in Francia non proprio così arcana come può esserlo oltreoceano.

Nel 2004, Macron ha passato il competitivo esame di ammissione all’Ispezione Generale delle Finanze, uno dei corpi di esperti inseriti nel sistema francese dai tempi di Napoleone. Gli ispettori IGF hanno accesso a una lunga serie di privilegi e possono venire assegnati in qualità di consiglieri economici sia a membri del governo che a enti privati. Una volta entrato nell’IGF, il nostro ha attirato l’attenzione dell’influente Jean-Pierre Jouyet, il quale ha a sua volta raccomandato il giovane di belle speranze a Jacques Attali, il più brillante fra i santoni intellettuali che, negli ultimi 35 anni, hanno illuminato il governo francese con le loro futuristiche visioni (una fra tutte, Gerusalemme come futura capitale di un governo globale). Nel 2007, il luminare Attali ha incluso Macron nel cerchio magico della sua “Commissione per la liberazione della crescita”, gruppo autorizzato a fornire consulenze alla presidenza francese. Nacque così una stella. Per la precisione, una stella della finanza.

La commissione Attali ha preparato una lista di ben 316 proposte con l’obiettivo dichiarato di «installare una nuova governance al servizio della crescita». Nel contesto “crescita” significa naturalmente crescita incondizionata del profitto, pianificata attraverso misure come drastici tagli del costo del lavoro, smantellamento di qualunque barriera possa ostacolare il libero movimento del capitale, deregolamentazione sfrenata. I 40 selezionatissimi membri che pianificano accuratamente il futuro della Francia includono dirigenti di Deutsche Bank e della svizzera Nestle. La collaborazione con Attali ha inoltre contribuito a rimpolpare il contenuto dell’agenda telefonica del nostro con un considerevole numero di utili contatti. Nel 2008, raccomandato da Attali, Macron ha ottenuto una posizione di rilievo nella Banca Rothschild. Concludendo un affare legato a Nestle per il valore di 9 milioni di dollari, Macron è diventato un milionario, proprio grazie ai fidi amici della commissione.

A quali qualità deve la vertiginosa ascesa che avrebbe sue secoli fa ispirato Balzac a renderlo protagonista di uno dei tomi della sua Comédie Humaine? Attali ricorda che il giovine era “notevole”. Andava d’accordo con tutti “senza farsi alcun nemico”.

Alain Minc, altro esperto tuttologo, ha espresso succintamente il seguente concetto: Macron è sveglio, ma è in primo luogo un banchiere di successo grazie al suo “fascino” – qualità necessaria per il mestiere della puttana, “un métier de pute”. Macron è diventato celebre per profonde perle di saggezza quali «la Francia ha bisogno di più giovani con l’aspirazione di diventare miliardari» e «che importa dei programmi? quello di cui la Francia ha bisogno è la visione». Così, Macron ha lanciato la sua carriera sulle solide basi del ”fascino” e della ”visione” – con il chiaro obiettivo di farsi strada fino alla cima.

La formazione dei membri della governance

La via di Macron verso il vertice è costellata di contatti utili. La governance opera attraverso la sistematica assimilazione delle sue pedine politiche. Si riconoscono, si annusano, tra loro vige la più perfetta corrispondenza di amorosi sensi.

Naturalmente, di questi tempi, la sempre vigile Gestapo della pubblica opinione è fulminea nel condannare qualunque discorso intorno alla governance come teoria del complotto. Ma non c’è nessun complotto, per il semplice motivo che non sussiste alcuna necessità di svilupparne uno. Sono tutti della medesima idea, e sanno bene quello che s’ha da fare.

E gli stessi sacerdoti della pubblica opinione che starnazzano all’unisono contro il ”complotto” sono poi quegli stessi che sembrano pensare che chi possiede immenso potere, nello specifico potere finanziario, non sia interessato a farne uso e si sistemi comodamente in poltrona pensando ”lasciamo che sia il popolo a decidere”. Come fa, per esempio, George Soros.

In realtà, quelli che hanno in mano le redini del potere ne fanno uso eccome, inebriati dalla loro stessa onnipotenza. Sono loro ad avere accesso alla verità assoluta: perché condividere il potere con le volgari masse ignoranti? È proprio per questo che David Rockefeller ha fondato la la Commissione Trilaterale quarant’anni fa, proprio per gestire gli scomodi e fastidiosi inconvenienti della ”troppa democrazia”.

Oggigiorno, gli ideologi danno pane e circo alle masse con dotte disquisizioni teologico-filosofiche a proposito dell’identità sessuale, della teoria gender, dei pericoli dell’intolleranza populista di “quelli che odiano” e di altre amenità del genere. Intanto, chi comanda si siede intorno al tavolo e decide.

Grazie a Jouyet, nel 2007 Macron è entrato a far parte dell’esclusivo club ”Les Gracques” (gli esperti di storia romana riconosceranno il colto riferimento), basato su ”valori” che partono dal presupposto dell’incompatibilità dello stato sociale e dei diritti economici dei lavoratori con lo sviluppo dell’Unione Europea e della globalizzazione.

Nel 2011, Macron ha aggiunto il Club de la Rotonde al suo notevole curriculum, il cui obiettivo era fornire consulenze al presidente Hollande per ”rendere la Francia più competitiva” – tagliando la spesa pubblica e i costi del lavoro, ça va sans dire. Nel 2012, Macron è stato caldamente ricevuto nei ranghi della French-American Foundation, famosa per la sua selezione dei ”giovani leader” del futuro. Nel 2014, il giovin Macron è definitivamente entrato nel mondo degli adulti. Il 31 maggio e 1° giugno di quell’anno ha partecipato all’annuale conferenza Bilderberg a Copenhagen. Proprio quella segretissima ”riunione” dei potenti fondata nel 1954 dal principe Bernhard dei Paesi Bassi. Nessun giornalista ammesso, con l’illustre eccezione dei baroni della stampa che accedono alla condizione di ottenebrare le masse a dovere una volta usciti.

Programma elettorale? Quale programma?

Con questa pletora di credenziali prestigiose, il giovin Macron è asceso da consigliere fino a Ministro dell’Economia, della Finanza e dell’Industria Digitale, piattaforma che ha utilizzato per proclamare a gran voce i meriti incomparabili dell’agenda Attali con il solito pretesto di promozione della crescita. Tra le altre cose, ha disinvoltamente capovolto la posizione del suo predecessore circa l’approvazione della vendita del gioiello della corona dell’industria francese, la Alstom responsabile dell’industria nucleare nazionale, alla General Electric.

Come Ministro, Macron è responsabile delle più odiate misure dell’intera odiatissima presidenza Hollande. La cosiddetta “Legge Macron”, incentrata (sorpresa, sorpresa) su una massiccia deregolamentazione, adagiata sulle direttive dell’Unione Europea ma bocciata dall’Assemblea Nazionale, è stata approvata attraverso l’applicazione dell’Art. 49.3 della Costituzione, che consente al capo del governo di approvare una legge senza bisogno della maggioranza parlamentare.

Il successivo traguardo del giovin Macron è stato più velato. Ha disegnato la riforma del lavoro (ovvero lo smembramento dei diritti dei lavoratori) presentata al pubblico come “Legge el-Khomri”, dal nome della giovane ministra del lavoro, Myriam el-Khomri di origine marocchina. L’incantevole Madame el-Khomry la “sua” legge non l’ha probabilmente nemmeno letta, ha soltanto prestato il suo grazioso faccino e l’esotica “diversità etnica” a un’odiatissima proposta di legge che ha paralizzato l’intero paese mettendo i lavoratori in massa sulle barricata, spaccato irrimediabilmente il Partito Socialista e obbligato il solito premier ministre Valls a mettere ancora una volta mano al benedetto Art. 49.3 della Costituzione per scavalcare il voto.

È qui che la storia diventa quasi comica. La cavalcata trionfale del giovin Macron attraverso il governo Hollande/Valls ha ridotto quel che restava del Partito Socialista in rovine fumanti, lasciandolo spaccato e demoralizzato. Questo ha aperto la strada al nostro cavaliere in armatura che è emerso come eroico campione del futuro, del “non a destra e non a sinistra” della “Francia dei vincitori” con il suo nuovo partito, En Marche (un nome, un programm… ah, no, nessun programma!).

Macron è al momento testa a testa con il candidato del Fronte Nazionale Marine Le Pen per il primo turno del 23 aprile, quindi favorito nella sfida contro Marine nel decisivo secondo turno del 7 maggio. Il ”fascino” di Macron ha assicurato a Macron un vertiginoso successo come banchiere, e il fervore religioso dei devoti mass media sta dando un importante contributo al suo cammino verso la presidenza della repubblica. Del resto, come si può resistere a quel fascino prorompente.

I media e il popolo

Come mai prima d’ora, la stampa e la televisione sono non solo ferocemente privi di scrupoli e di una deliberata freddezza calcolatrice che farebbe impallidire qualunque sistema totalitario, ma tirannici nella condanna unanime di qualunque voce fuori dal coro sistematicamente condannata come ”falsa”. Dovrebbero essere ribattezzati MMM, i Media della Manipolazione della Mente. L’obiettività è fuori moda.

Undici candidati sono al momento lanciati nella corsa all’Eliseo. I MMM riversano su Macron fiumi di estatica adorazione, trattano la competizione seria come una banda di banditi e delinquenti, lanciano qualche osso ai sicuri perdenti e ignorano il resto della ciurma. Solidamente appoggiato dai MMM, Macron è il candidato del totalitarismo finanziario contro tutti gli altri e, soprattutto, contro la democrazia stessa.

(da Global Research – Traduzione di Maria Teresa Marino)