La nascita dei movimenti populisti. Foa: “I popoli traditi tre volte”

E’ il popolo che ha voltato le spalle alle èlite -politiche, economiche, intellettuali-, o sono state queste invece a ignorare le sofferenze dell’uomo comune? Mai come oggi la globalizzazione è sotto attacco, mai prima d’ora il voto popolare è stato abilmente convogliato verso quei partiti e movimenti che si prefiggono l’obiettivo di ritornare ad una piena, perduta sovranità nazionale; proprio per questo, se da un lato la classe intellettuale è stata fulminea nell’etichettare questo nuovo voto come “frutto dell’ignoranza”, è necessario fornire una visione concreta e ragionata del fenomeno “populismo“.

Circolo Proudhon, certamente una delle think tank più interessanti del panorama italiano, ne ha parlato a Milano il 30 marzo con i suoi relatori Andrea Muratore e Luca Lezzi, assieme a due voci note del giornalismo, Marcello Foa (Il Giornale, Corriere del Ticino) e Marcello De Angelis (ex Il Secolo d’Italia, ex senatore di Alleanza Nazionale) proprio per capire in che direzione soffi il vento del ventunesimo secolo.

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Populismo non è, come descritto dai media, una mera forma di acquisizione del consenso basato sullo “stomaco” dell’elettorato, dice il moderatore Andrea Muratore (L’Intellettuale Dissidente), bensì un nuovo modo di intendere la politica che nasce in opposizione alle difficoltà dell’attuale sistema. Approfondisce il concetto Marcello Foa, presentandone la genesi suddividendo la storia contemporanea in due fasi distinte: la prima, dal 1945 al 1991, cioè dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al crollo dell’URSS; la seconda, dal 1991 al 2007, dunque fino al principio della crisi economica attuale.

Nella prima fase, per tutto il periodo della Guerra Fredda, si sviluppano appieno le democrazie occidentali e vi nascono i partiti moderati di destra e sinistra, il cosiddetto “arco costituzionale” dei partiti “presentabili”; i movimenti populisti, in questo periodo storico, sono inesistenti o marginali. Prevalgono le grandi logiche sovranazionali, cioè il confronto tra l’egemonia statunitense e quella sovietica. La costante minaccia di una guerra atomica con l’URSS, la contrapposizione del sistema capitalistico a quello comunista, produce un senso di unità in Europa: la politica di questi paesi deve dimostrare al blocco della cortina di ferro di essere una alternativa migliore sia sotto il profilo democratico -portando al governo partiti liberali- che economico, sviluppando il libero mercato.

La seconda fase, conseguente al crollo dell’esperienza sovietica, è battezzata dall’idea della “fine della storia” (F. Fukuyama) e dall’avvio della globalizzazione. In questo momento l’interesse economico nazionale e la stabilità sociale passano in secondo piano; il capitalista diventa un “apolide” slegato all’interesse della sua nazione, si sviluppa la cultura del debito: la crisi dei mutui subprime è figlia da un sistema che ha fatto del debito il motore della propria economia, con tutte le sue progressive conseguenze. Nasce, a livello politico, la tendenza a delegare il potere a organizzazioni sovranazionali (UE, BCE, ONU, etc.), dunque alla creazione di una governance continentale e globale: ne consegue lo svuotamento della democrazia.

L’incapacità e l’impossibilità dei governi di rispondere con forza alla crisi economica crea delusione e malcontento. “I governi” dice Foa “delegando le proprie competenze a questi enti sovranazionali si svuotano di ogni competenza; la gente si è resa conto che i governi hanno meno potere di quanto si pensi”. Foa parla di un triplice tradimento: economico, perché la globalizzazione non ha portato il benessere promesso; politico, in quanto i partiti moderati non rispettano più quanto promesso -simbolo di questo fallimento l’amministrazione Obama-; e intellettuale, poiché la stampa diviene megafono del potere e dello status quo.

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I movimenti populisti, che hanno anzi ottenuto la loro forza grazie al web e alla stampa alternativa (Breitbart, ZeroHedge), intercettano il malessere che l’establishment ha ignorato e reclamano il ritorno di una democrazia piena. Per il giornalista, inoltre, l’esistenza dei movimenti populisti ha avuto il beneficio di evitare che la protesta politica degenerasse in rivolte violente o terrorismo, e conclude che “la vera sfida non è demonizzare i populisti ma preservare la veridicità del nostro sistema democratico e dare risposte credibili a un malessere senza precedenti nella storia”

(di Federico Bezzi)