Mancata certezza della pena: risultato di una toppa peggiore del buco

Al sistema penale italiano si contesta soventemente la mancanza di “certezza della pena” per i soggetti riconosciuti colpevoli di qualche reato. Con questo termine s’intende quel particolare principio giuridico del diritto penale elaborato dal celebre giurista italiano Cesare Beccaria in base al quale è indispensabile – per la credibilità stessa di un dato ordinamento penale – il fatto che al soggetto riconosciuto responsabile consegua sempre e comunque l’applicazione della pena prevista nel più breve lasso di tempo possibile.

Nel nostro sistema, purtroppo, il fondamentale principio di cui sopra è stato stuprato più volte nel corso degli anni e, ancora oggi, sostanzialmente, continua questa violenza. Se in passato ciò avveniva attraverso costanti amnistie, indulti e grazie ( nonostante il loro teorico carattere di eccezionalità), oggigiorno la mancata certezza della pena si attua attraverso istituti giuridici quali “la particolare tenuità del fatto” (ex art. 131 c.p.), o ancora, “la sospensione condizionale della pena” (ex art. 163 c.p.)

Scaturiti da un evidente retroterra culturale lassista che pervade oramai tutta la società nel suo complesso, i due istituti citati consentono agli autori conclamati di reati di evitare agevolmente il carcere se riescono a dimostrare che la loro condotta delinquenziale era “poco colpevole” e “poco dannosa” o se la pena detentiva accordata non supera i due anni. Tutto ciò contribuisce, tuttavia, in termini decisivi anche a diminuire sensibilmente la funzione deterrente del diritto penale, finalizzata al buon andamento e la pacifica convivenza della società civile. Pacifica convivenza civile che viene così messa a repentaglio con la sola scusa di cercare goffamente di mettere un tampone alla difficile situazione dell’arretrato giudiziario e al sovraffollamento carcerario. Una toppa peggio del buco.

(di Manuele Serventi Merlo)