Le origini del Carnevale, fra paganesimo e ribellione

Il Carnevale è una festa particolarmente sentita nei Paesi di tradizione e cultura cattoliche. I suoi festeggiamenti sono infatti strettamente correlati con quelli della Settimana Santa e della Pasqua. Lo stesso Martedì Grasso (giorno culmine del Carnevale) non è che l’ultimo martedì prima dell’inizio della Quaresima. Per la Chiesa Cattolica la festività carnevalesca dovrebbe essere un momento di riflessione e preghiera, e si interseca con il periodo di penitenza noto come Tempo di settuagesima. Per questo motivo, l’istituzione religiosa non ha mai visto di buon occhio l’aspetto più festoso e grottesco del Carnevale, spesso bollandolo come inappropriato o “pagano”.

Effettivamente le origini del Carnevale risalgono a ben prima del Cristianesimo, e possiamo trovare festività molto simili in numerosissime civiltà e religioni antiche. Per quanto riguarda il Martedì Grasso che conosciamo noi, sono principalmente le Antesterie greche e i Saturnali romani ad averne costituito la principale fonte d’ispirazione. Le prime, che erano feste dedicate al dio Dioniso, erano solitamente celebrate a cavallo fra febbraio e marzo, periodo ideale perché inaugurava l’arrivo della primavera. Durante le Antesterie aveva un’importanza centrale il vino; proprio in questa festività si assaggiava infatti per la prima volta il vino pigiato in autunno. Tutta la polis veniva coinvolta, e anche alle donne e ai bambini era permesso di partecipare attivamente alle celebrazioni. Pure ai carcerati e ai prigionieri era concessa la libertà provvisoria, ed essi venivano trattati come un qualsiasi altro cittadino. Prendeva già piede quindi quello stravolgimento di gerarchie e di leggi che avrebbe maggiormente caratterizzato i Saturnali romani e il Carnevale medievale. Diffusissime, erano anche le maschere, che venivano indossate dai celebranti in sfilate e cortei. La festa si concludeva poi la sera, con una solenne celebrazione al Tempio di Dioniso. Una sacerdotessa, scelta fra 14 donne “venerabili”, veniva sposata simbolicamente col Dio stesso. A differenza del Carnevale cristiano, quindi, l’aspetto sacrale/religioso e quello stravagante erano strettamente correlati e spesso gli stessi sacerdoti conducevano le parate in maschera o organizzavano i banchetti orgiastici.

I Saturnali romani venivano invece festeggiati dal 17 al 23 dicembre. Durante quei giorni i romani celebravano il dio Saturno ed è probabile che la festa avesse origini greche. I sacerdoti infatti erano soliti officiare i riti dei Saturnali seguendo gestualità tipicamente greche, come ad esempio tenendo la testa scoperta o indossando una corona. Dalla tradizione latina emerge come Saturno sia un dio trasgressivo, quasi anarcoide. La divinità sembra promuovere un ribaltamento dell’ordine costituito, scagliandosi contro le leggi e le convenzioni sociali. La festa dedicata a lui non può ovviamente che seguire questa impostazione. Durante i Saturnali, che iniziavano con grandi banchetti e festini orgiastici, ai cittadini era liberamente concesso di sovvertire le gerarchie della società romana. Anzi, questa sovversione era fortemente favorita ed era l’elemento centrale delle celebrazioni. Basti pensare alla grande importanza che veniva data agli schiavi. Ai servi, durante i giorni di dicembre, era infatti data totale libertà; potevano cenare al tavolo dei loro padroni, ed erano da questi addirittura serviti e lavati. Fra gli schiavi si eleggeva poi un princeps, una sorta di caricatura dell’aristocrazia romana, il cui compito era quello di guidare la comunità durante i giorni festivi. Il princeps era solito indossare una maschera grottesca e dei vestiti di colore rosso. Utilizzando il rosso, colore identificativo delle divinità, egli diventava di fatto la rappresentazione terrena di Saturno stesso. Il ribaltamento della gerarchia era dunque totale: uno schiavo, momentaneamente libero, diventava princeps e dio. E’ interessante notare come Saturno sia l’unica divinità latina solitamente rappresentata con ai piedi dei semplici lacci di lana, anziché dei calzari. Lacci che, non a caso, erano le calzature tipiche degli schiavi.

L’uso di maschere e di cortei grotteschi si poteva trovare anche in altre festività romane, come ad esempio quelle legate alla dea Iside. Il culto della dea egizia, importato a Roma e molto diffuso soprattutto fra l’aristocrazia, prevedeva l’utilizzo di diverse maschere e travestimenti. Il tema della sovversione dell’ordine sociale costituito è invece ricorrente in moltissime festività “carnevalesche” diffuse in tutto il mondo antico. In Mesopotamia si festeggiava la mitica lotta fra il dio Marduk e il mostro Tiamat. La celebrazione cadeva poco dopo l’equinozio di primavera, e i babilonesi organizzavano un imponente corteo in maschera, in cui venivano rappresentate le gesta di Marduk. Numerosi figuranti, vestiti da figure grottesche, impersonificavano le forze del caos guidate da Tiamat. Il loro compito era sovvertire l’ordine costituito, e a tutti i cittadini di Babilonia era concessa una libertà totale e sfrenata. Il re in persona poteva essere deposto e umiliato pubblicamente. Questo caos aveva però fine con la conclusione della festività, simboleggiata dalla rappresentazione rituale della vittoria di Marduk. Il dio, vincendo sul drago Tiamat, riportava l’ordine e la stabilità. Un concetto in fin dei conti simile a quello presente nei Saturnali; se infatti durante essi si celebrava il dio Saturno, il ritorno alla normalità altro non era che la vittoria di Giove sul caos e sull’anarchia. Tutte queste ricorrenze erano inoltre fortemente legate allo scandire delle stagioni e dei mesi; cadendo spesso a cavallo fra l’inverno e la primavera, oltre a simboleggiare lo scontro fra il caos e l’ordine diventavano quindi anche un’allegoria della fine della stagione fredda e dell’inizio di quella calda e adatta alle coltivazioni.

Anche nel Medioevo, il Carnevale mantenne questa sua valenza originale di sovversione e di ribellione. Esso era l’unico periodo dell’anno in cui la società era libera dalle rigide gerarchie sociali dell’epoca. Le leggi, degli uomini e di Dio, venivano momentaneamente sospese e il popolo poteva vivere all’insegna della sregolatezza e della follia. Come per i Saturnali, anche nel Carnevale medievale i ruoli sociali potevano essere invertiti, e ai popolani era concesso sbeffeggiare e umiliare nobili e clero. Non era raro durante il Martedì Grasso incontrare uomini vestiti da donne (e viceversa), oppure giullari e buffoni che scimmiottavano vescovi e re. Il più importante di questi era chiamato il Re del Carnevale e il suo compito era vegliare sui giorni di festa e garantire la sospensione temporanea di leggi e consuetudini. Come nelle celebrazioni pagane, anche il Carnevale cristiano è fortemente legato allo scandire delle stagioni. Con i suoi balli, le sue canzoni e la sua gioia, l’uomo santifica il ritorno della primavera e la fine dell’inverno.

In conclusione, il Carnevale e i suoi antenati pagani hanno rappresentato per lungo tempo, oltre a un’importante festa religiosa, anche una valvola di sfogo per la gente comune. A questa era concesso di sovvertire l’ordine sociale, di criticare la gerarchia o di infrangere le leggi in un limitato periodo di tempo. Ciò rendeva probabilmente più sopportabile il resto dell’anno. Emerge anche un atteggiamento conciliante, quasi paternalista da parte dei detentori del potere; si concedeva al popolo la possibilità di assaporare la libertà totale e di osare mettersi sullo stesso piano di chi è più importante. A patto però, a festa finita, che ognuno si rimetta al suo posto e che torni l’ordine costituito.

(di Andrea Tabacchini)