Veneziani e Sgarbi: “Il Mito è il mezzo per elevare l’essere umano”

“Senza miti non siamo nulla, la società attuale vive esclusivamente di modelli materiali”. Così Marcello Veneziani alla presentazione del suo libro Alla luce del mito a Palazzo Wedekind, Piazza Colonna, Roma. Un evento al quale ha partecipato anche un Vittorio Sgarbi come al solito energico e politicamente scorretto, che non risparmia critiche alla retorica femminista di estrazione boldriniana, uno degli ultimi tragici frutti della decadenza occidentale.

“La nostra è una società che ha celebrato negli ultimi secoli la morte della filosofia – sostiene  Veneziani – una struttura di pensiero che in millenni di storia aveva fatto del concetto di ‘mito’ una sua notevole base epistemologica, basti pensare ai classici greci per rendersene conto. I libri di filosofia degli ultimi cinquant’anni sono dei necrologi che celebrano la gloria dei pensatori del passato”.

Ma in cosa il “mito” può servire nella vita di tutti i giorni? “Il mito, che nella nostra cultura ha origine dall’antica Grecia, aiuta l’uomo a visualizzare un modello, a traslarsi al di fuori di sé a trovare ispirazione per crescere e migliorarsi. Senza mito l’umanità non può avere futuro”.

Esistono dei miti anche oggi, ma non rappresentano certamente un modello: “Oggi il mito è la merce oggetto del consumismo. Consumare significa vivere, ma non c’è nulla di spirituale in questo, perché lega l’essere ad una dimensione senza prospettive”.

Una distinzione che Veneziani tiene a precisare è quella tra mito e utopia: “Mentre il mito è un modello, l’utopia è la pretesa della perfezione. Una perfezione ovviamente impossibile, che non fa parte della natura umana e genera disastri. Il mito, al contrario, è una fonte inesauribile per avvicinare la dimensione terrena dell’esistenza a quella celeste”.

Il dialogo con Sgarbi si svolge proprio sull’analisi delle potenzialità del mito. Il critico d’arte dà luogo a uno dei suoi soliti show, le cui parole sono forti ed inequivocabili: “I miti di oggi sono negativi e la bellezza nel moderno è stata sacrificata nell’orrido, che contraddistingue l’arte contemporanea. Non è un caso che l’ opera che compie cento anni esatti proprio ad oggi è infatti l’orinatoio di Duchamps. Il che è sintomatico della mitologia che adoriamo nella modernità: un oggetto qualunque messo in un museo diviene addirittura un’opera d’arte. Quella fu un’idea intelligente, senza dubbio, ma non si tratta di arte. L’ultimo secolo è escrementizio, cento anni di orrori”.

Un “mito rovesciato” secondo Sgarbi. Differentemente dall’antica Grecia e l’antica Roma: “L’epoca classica è l’epoca sublime al quale spesso diamo l’appellativo di ‘mitologico’. Il Rinascimento, con Raffaello e Michelangelo, è il rinnovamento di quel mito, diretto erede dell’antichità greca e latina”.

Il mito che resiste è quello della poesia: da lì una curiosa analisi di Sanremo, che per Sgarbi rappresenta, al di là dei suoi limiti artistici, la sopravvivenza del mito che lui individua nei versi.

“Il canto è la forma più antica di espressione umana. Ebbene, la poesia dopo Ungaretti è morta nella sua forma letteraria comunemente conosciuta. Dopo il 1951, ovvero dalla nascita di Sanremo, nessuno ricorda i versi di Attilio Bertolucci. Ma cosa è la poesia, da Omero in avanti, se non tradizione orale? Ecco, la canzone leggera ha, in qualche modo, fatto sopravvivere quel mito: molti di voi ricordano sicuramente le canzoni di Patty Pravo o brani come Sapore di sale. Il patrimonio sublime della poesia è stato ‘traslato’ nella canzone. Anche se guardiamo Sanremo con delusione, lo facciamo perché è dentro di noi il bisogno della poesia. Quando dopo Apollo, Marte e Venere saranno morti anche i nostri Dei (quale può essere Cristo), ciò che potrà rimanere nel nostro cuore è la ricerca della poesia: il vero mito che resiste a tutto”.

 (di Stelio Fergola)