La Colombia tra guerriglia e pacificazione

Il 2017 rappresenta l’anno che potrebbe segnare, in futuro, la storica data per la chiusura del conflitto civile più lungo della storia. Quello tra lo Stato colombiano e le ultime due forze armate di guerriglia, le FARC e l’ELN. Se le FARC hanno già firmato lo storico accordo di pace, l’Esercito di Liberazione Nazionale si ritrova nella fase cruciale della trattiva. Abbiamo deciso di parlarne con Hernan R. Vargas, già docente presso la Fundación Universitaria Monserrate di Bogotà.

1. Il processo di pace in Colombia prosegue tra mille difficoltà, da una lunga gestazione alla bocciatura del referendum popolare fino alla rivisitazione di molti suoi punti. Pensi che questo possa già averne minato le basi?

H. V.: Secondo me la bocciatura del “Sì” nel referendum non è propriamente la vittoria del “No”. Se guardiamo in profondità, in realtà il gran vincitore è l’assenza di un soggetto politico partecipativo dei processi democratici, ben il 62% della popolazione non è andata a votare! D’altra parte quello che è stato evidenziato dal referendum è che la maggioranza dei votanti (e non la maggioranza degli aventi diritto) non avevano una conoscenza approfondita sul quesito (¿Apoya el acuerdo final para la terminación del conflicto y la costrucción de una paz estable y duradera?/Appoggia l’accordo finale per mettere fine al conflitto e costruire una pace stabile e durevole?), ma invece hanno pensato ad un confronto diretto tra Uribe e il suo partito (che vorrebbero porre fine al conflitto con una politica di guerra) e Santos, che ha vinto la seconda elezione presidenziale nel 2014 con la promessa della pace. In altre parole i grandi vincitori sono: l’indifferenza e l’ignoranza. Quindi, si può dire che le basi sociali della pace sono minate, ma già da prima della sconfitta del “Sì” e in questo senso a coloro che lavorano per la pace spetta un grande lavoro didattico per la nascita di soggetti politici più partecipativi.

2.Il presidente Santos ha ricevuto il premio Nobel per la Pace prima della ratifica dell’accordo e del referendum poi perso dal fronte favorevole alla stipula della pace. È stato un atto prematuro?

H. V.: Dipende. Non si può dire che è stato prematuro nel senso che io dopo aver letto quest’accordo di pace so che è stato fatto nel miglior modo possibile per entrambe le parti. Purtroppo questo premio mette tra parentesi la volontà di un popolo (nonostante lo scarto minimo tra il fronte del “Sì” e quello del “No”), ma fornisce sostegno internazionale a ciò che sembrava impossibile dopo la sconfitta del 2 ottobre 2016. Nella comunità intellettuale colombiana non si sapeva cosa pensare, perché questo riconoscimento potrebbe significare due cose che si possono sintetizzare con le seguenti domande: si è voluto mettere in evidenza l’ignoranza e l’indifferenza del popolo colombiano? Oppure la comunità internazionale fa quello che vuole indipendentemente dalla volontà dei popoli? È una cosa sulla quale dobbiamo riflettere sia in Colombia che nel resto del mondo.

3. Data la portata dell’accordo, che di fatto metterebbe fine alla guerra civile più lunga del mondo, il premio Nobel per la Pace non sarebbe dovuto andare anche alla controparte? E quindi premiare anche l’attuale leader delle FARC Timochenko?

H. V.: Il premio Nobel per la Pace fa parte ancora di una logica nella quale si può premiare solo “i buoni”, ovvero il capo politico rappresentativo, questo offre l’idea di un attestato personale che legittima la sua elezione, e con essa la difesa della democrazia moderna. In questa logica non si può premiare chi rappresenta l’insurrezione contro una nazione. Si protegge sempre il legittimo capo di governo. Venendo alla premiazione di Santos, possiamo affermare che non si è trattato di un accordo tra due attori principali ma di un solo attore principale (lui) seduto al tavolo con altri (i guerriglieri con una certa volontà politica). Per parlare di pace, con l’obiettivo di aiutare e tutelare le vittime (cosa molto importante, giacché senza il riconoscimento delle vittime non si può costruire la pace), non si può insistere in un discorso figlio di un’iniziativa unilaterale. Anche per questo il premio Nobel per la Pace a Santos rappresenta una sconfitta personale del leadership carismatico della destra colombiana Alvaro Uribe Vélez.

4. Il secondo mandato Santos ha già superato la metà dei quattro anni previsti, con l’ex presidente Uribe, vittorioso al referendum e sostenitore del fronte contrario alla pace, ancora molto popolare come vedi il futuro della Colombia ora che Santos non potrà nemmeno ricandidarsi?

H. V.: In poche parole possiamo affermare che il futuro della Colombia non è rappresentato da Santos e nemmeno da Uribe, il futuro della Colombia è la Pace! Questo suona abbastanza bene, anche se si tratta di una strada difficile, per tutti i colombiani. Come ho scritto in un recente saggio si tratta di una “pace difficile”. Come detto prima la grande preoccupazione deriva dal fatto che i cittadini non abbiano capito che la pace non è la costruzione di un solo soggetto, o il confronto tra due partiti politici, ma è invece un lavoro comune: un lavoro di una comunità politica. Quello a cui dobbiamo pensare adesso è cosa hanno imparato i colombiani dopo lo scorso 2016, un anno molto agitato, perché per quanto riguarda l’elezione presidenziale del 2018 c’è in gioco anche cosa succederà con l’implementazione dell’accordo e la volontà del popolo di lavorare per la pace oppure ritornare a nuove vie violente, com’è successo con altri gruppi che dopo la stipula della pace con un precedente governo, ad esempio la firma della pace con l’M-19 (dell’8 marzo 1990), si è dovuto assistere alla morte di tantissimi leader politici disposti a fare un vero cambio. Questo comportò un rafforzamento delle FARC e dell’Esercito di Liberazione Nazionale, gruppi nati già negli anni ’60. Più recentemente il rafforzamento del paramilitarismo ha comportato l’assassinio di leader politici contadini, indigeni e afromericani, principali vittime di questa guerra. Sono proprio i sindacalisti, i contadini e le persone della società civile i più impegnati nel processo di costruzione della pace, a differenza della grande maggioranza dei capi dei partiti politici.

5. In Italia, per via di una recente serie tv e un film con protagonista Benicio del Toro, il personaggio di Pablo Escobar risulta gradito ai più giovani come già avvenuto per la Banda della Magliana dopo gli appuntamenti al cinema e in tv di “Romanzo criminale”. Chi era davvero Escobar? Un narcotrafficante feroce e spietato o un capo-popolo? E cosa ne pensano oggi i colombiani?

H. V.: Pablo Escobar e il narcotraffico fanno parte della nostra storia, infatti, il narcotraffico e il rapporto di questo fenomeno con le FARC fanno parte del terzo punto dell’accordo e rappresentano un problema che non è stato risolto. Si tratta, però, di un problema diverso da quello che negli anni novanta riguardava Escobar e gli altri capi dei cartelli mafiosi. Il narcotraffico fa parte di una cultura di violenza, e qui, più che la parola “violenza” voglio sottolineare la parola “cultura”, giacché noi colombiani siamo famosi al mondo per questo fenomeno che ha comportato molte vittime e un modo di essere, tipico degli anni Novanta, dove a vincere era sempre il più astuto e il più cattivo. Questo fa dimenticare, qualche volta, alla comunità internazionale e anche agli stessi colombiani, che come paese siamo molto di più di ciò che ci lega al narcotraffico e la pace è proprio l’opportunità giusta per dimostrarlo. Non posso parlare a nome di tutti i colombiani, però, secondo me, c’è una gran maggioranza che non vuole condividere un’identità con Pablo Escobar, come nello sdegno di tantissime persone davanti al cartello nella piazza Sole di Madrid quando è comparsa la foto di Escobar e la frase: “bianco natale” (blanca navidad), riferendosi alla cocaina, per un’opera pubblicitaria di Netflix. Per ciò che riguarda quest’uomo (chiarisco di non aver mai visto la serie), era entrambi: un narcotrafficante feroce e un “capo-popolo”, potremmo dire un cattivo leader carismatico, come oggi può esserlo Uribe. In fondo non vedo nulla da ammirare quando qualcuno usa la propria intelligenza per fare del male.

6. La Colombia è l’unica nazione sudamericana legata, da sempre, agli USA e alle politiche liberali tanto da essersi interessata, senza entrarvi, al TPP e aver stretto il Plan Colombia con la potenza a stelle e strisce. Con la coppia Trump-Tillerson alla Casa Bianca questi rapporti potrebbe subire modifiche?

H. V.: Certo, il rapporto tra la Colombia e gli Stati Uniti è stato sempre di subordinazione da parte della Colombia. Dico da sempre pensando che questo rapporto subordinato praticamente coincide con la nascita della Repubblica Colombiana nel 1821 fino ad arrivare ai nostri giorni. Infatti, il professore colombiano Renan Vega (UPN) ha scritto un buon saggio, a riguardo, dal titolo “Injerencia de los Estados Unidos, Contrainsurgencia y Terrorismo de Estado”. In questo saggio il professore Vega spiega i diversi tipi di subordinazione storica della Colombia verso gli Stati Uniti, ma anche come questo rapporto condizioni in modo negativo la politica, l’economia, la società e tutta la cultura colombiana. In questo senso non credo veramente che nella nuova era Trump-Tillerson si vedrà un cambiamento assai significativo. Però per quanto riguarda il rapporto continentale con gli Stati Uniti, si avvicinano cambiamenti profondi, principalmente per i nuovi governi di destra (quello del Brasile di Temer e dell’Argentina di Macrì), così come per i governi di sinistra delle nazioni ALBA (Ecuador, Bolivia e Venezuela).

7. Le FARC hanno annunciato la creazione di un proprio partito che vedrà la luce nel mese di maggio. Nel frattempo hanno ottenuto sei rappresentanti in Parlamento senza diritto di voto. I sei membri “vicini” al gruppo marxista hanno dato vita alla sigla Voces de Paz y Reconciliacion. Potrebbe essere la strada giusta per lasciarsi la guerriglia alle spalle? Saranno seguiti dall’intero gruppo o c’è il rischio che alcuni continuino la lotta armata?

H. V.: Finché lo Stato non potrà garantire la sicurezza del nuovo partito politico, sarà sempre vigente il rischio della continuità della lotta armata. Se le FARC hanno deciso insieme al governo di continuare a ratificare l’accordo è perché per il momento la sicurezza è stata garantita. D’altra parte questa domanda è molto importante e mi permette di segnalare tre cose: la prima è che dopo il disarmo, le FARC cominceranno la vita politica senza armi, poi a maggio la creazione del nuovo partito vedrà la luce. La seconda è che il problema per loro è che non si sa fino a che punto potranno lasciarsi la guerriglia alle spalle per via dei forti dubbi di una parte dell’opinione pubblica. Se da una parte c’è un’opposizione diretta da parte del Centro Democratico (il partito di Uribe) in cui domina un atteggiamento ostile, e come si è visto al referendum anche in una buona parte dell’opinione nazionale, dall’altra c’è il problema storico della sinistra in Colombia. Il terzo punto riguarda la differenza dal resto del continente (e in questo gioca un ruolo centrale l’intervento degli Stati Uniti) perché non si è mai avuto un governo di sinistra. Comunque è sempre meglio vedere le FARC fare politica senza armi, che il contrario. La responsabilità dello Stato è ogni volta maggiore se pensiamo che il principio fondamentale della pace è garantire la vita (e anche la vita politica) di tutti. Adesso non mi preoccupa troppo cosa succederà una volta che le FARC saranno diventate un partito politico, mi preoccupa il sabotaggio della pace da parte di un partito politico come il Centro Democratico, e soprattutto l’assassinio, da parte di gruppi paramilitari, come ho detto prima, di leader politici tra le associazioni di contadini, indios e afroamericani. Non si può costruire la pace sul sangue, tutti dobbiamo avere le mani pulite per costruire questo sogno fino a pochi anni fa del tutto insperato.

8. Che ruolo rivestono oggi gli squadroni paramilitari che, tra il 1984 e il 1990, fecero naufragare il primo tentativo di pacificazione tra Stato colombiano e FARC uccidendo oltre cinquemila membri del partito Union patriotica fondato dai guerriglieri?

H. V.: Credo di aver risposto un po’ a questa domanda già tra le altre, però posso approfondire. Il ruolo che rivestono gli attuali squadroni paramilitari, che qualche volta prendono il nome “ufficiale” di “bacrim” (sigla che in italiano significa bande criminali), è non solo quello di far naufragare ogni tentativo di pace, uccidendo i membri di altri partiti come è stato con la Unión Patriotica, ma anche diffondere la paura tra il popolo. Tra il 1984 e il 1990 assassinavano leader politici riconosciuti, il che generava un enorme impatto nella società. Oggi, invece, assassinano leader locali, nel solo 2016 sono stati assassinati ben 85 leader. Il lavoro del governo Santos in quest’ultimo anno dovrà concentrarsi sul disarmo e la denuncia di tutti questi gruppi che in termini generali hanno avuto sempre un’ideologia di destra e molto radicale. Se questa situazione continua, e mi dispiace dirlo, la pace sarà impossibile.

9. Intravedi la possibilità di un’alleanza tra il Polo Democratico Alternativo, forza di sinistra già presente in Parlamento dotata di un consenso a due cifre, e il nuovo soggetto elettorale delle FARC Questo potrebbe portare in Colombia la ventata di socialismo avutasi nel corso degli ultimi venti anni nel resto del Sudamerica?

H. V.: Adesso non ho la certezza su cosa succederà con la vita politica del nuovo partito. Questa alleanza è una possibilità. Le FARC, però, sono più vicine a partiti politici come Marcha Patriotica e la stessa Union Patriotica, che al POLO. È difficile vedere nella conversione politica delle FARC qualcosa come l’ultima speranza della sinistra colombiana nel contesto latinoamericano. Per quanto riguarda questo punto preferisco sostenere più che la Colombia ha storicamente sentito la mancanza di un governo di sinistra per le ragioni citate prima.

10. È iniziato il dialogo anche con l’Esercito di liberazione nazionale, ultimo gruppo combattente colombiano. Quanto questo ulteriore accordo è legato al successo di quello siglato con le FARC?

H. V.: È molto legato. Per l’ELN, l’accordo con le FARC è stata la lettera di invito necessaria per continuare nel processo di pace e lo stesso accordo è un modello sul quale si può imparare molto. Su questa linea riuscire a fare l’accordo con le FARC, e su questo si è stati sempre chiari, era anche iniziare il dialogo con l’ELN. Speriamo che infatti l’accordo del 2016 fornisca un precedente per il lavoro di tutti coloro che si stanno occupando di questa nuova negoziazione. Ma, comunque, è importante segnalare che mentre si dialogava a Cuba con le FARC, erano già iniziati, in Ecuador, le negoziazioni con quest’altro gruppo guerrigliero. Allora, insisto, mentre il governo fa il suo lavoro con i gruppi guerriglieri la popolazione deve vigilare sul processo e costruire la pace ogni giorno, questo significa cambiare le nostre forme di vita attuali, un lavoro veramente difficile ma fondamentale.

(Intervista di Luca Lezzi)