Wikileaks, Assange: “I grandi media disinformano”

Come nell’utopia orwelliana – in questi giorni tornata ai primi posti nelle vendite letterarie- questionare l’autorità è un reato, e nulla può permettersi di sondare e profanare i segreti di Oceania, così nell’ordine politico Occidentale, un sistema in crisi strutturale nel quale i media sembrano trasformatisi da “watchdogs” a cani da riporto, le parole di Julian Assange e lo sconfinato archivio della sua “creatura” Wikileaks squarciano il velo di mistero sui governi, espongono i limiti dei media tradizionali e permettono al grande pubblico di scoprire verità altrimenti destinate all’oblio.

Il giornalista australiano, dal 2012 rifugiato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, ha rilasciato una lunga video-intervista con Periscope il 19 gennaio, accogliendo le domande di giornalisti e pubblico di Twitter. L’evento è stato riportato dai media ponendo al centro della notizia, in maniera monomaniacale, l’unica questione che a loro giudizio pare interessare realmente tutti: quando si consegnerà agli Stati Uniti?

Egli aveva messo più volte sul piatto l’offerta di tornare negli USA, dove tutt’ora non sussistono formalmente accuse a suo carico, in cambio della grazia a Chelsea Manning, l’ex militare condannato a 35 anni di carcere per aver trasmesso proprio a Wikileaks video e documenti riservati che testimoniavano l’uccisione indiscriminata di civili in Iraq. Ora che Obama, in uno dei suoi ultimi atti da Presidente, ha graziato Manning, il co-fondatore di Wikileaks manterrà la sua promessa?

Nella conferenza di giovedì, durata 80 minuti, Assange ha parlato non solo del proprio destino, ma ha dedicato spazio anche alla nuova amministrazione di Trump e alla questione sempre più attuale delle fake news, lasciando anche indizi su quali rivelazioni ci attenderanno nel corso del 2017.

Rispondendo immediatamente alla domanda, per soddisfare la morbosa curiosità dei più ed approfondire meglio la sua intervista, Assange ha detto che “terrà fede alla sua promessa” quando la sentenza di Manning sarà commutata, ovvero non prima del prossimo maggio, e se le autorità USA sveleranno chiaramente quali sono le accuse che lo riguardano.

Proprio i media che voyeuristicamente attendono di sapere quando mostrerà i polsi alla giustizia sono al centro delle sue parole. “Siamo in un’era d’oro del giornalismo, perché è oggi molto più facile pubblicare qualcosa, e sta sorgendo una grande varietà di nuovi giornalisti, ognuno con i suoi interessi e punti di vista.” La pluralità e il conflitto, anche quello tra i potenti, generano dal punto di vista di Wikileaks “un mercato e un pubblico pronto a ricevere informazioni; ad esempio, nel conflitto tra Merkel e Trump, in Germania ci saranno persone interessate a informazioni sul presidente americano e viceversa”.

Assange riconosce che la sua organizzazione ha rivoluzionato il giornalismo, difendendo il diritto dei giornalisti di fare libera informazione e il diritto dei lettori ad essere informati, e dipinge Wikileaks come “una biblioteca di Alessandria ribelle con 10 milioni di documenti mai apparsi in pubblico prima d’ora”.

Alla domanda se la questione delle “fake news” abbia contribuito a rendere Wikileaks più autorevole, Assange non ha dubbi nel definire la sua organizzazione precisa al cento per cento: “per noi è bianco o nero: o un documento è ufficiale, o non lo è”. Nei media c’è grande disinformazione, “la maggior parte non controlla le sue fonti” e “la fiducia nei mezzi di informazione non è mai stata così bassa”, soprattutto in occasione delle recenti elezioni statunitensi, dove “ha regnato una atmosfera di estrema parzialità. Il comportamento della stampa in maggioranza schierata per la Clinton, è stato, in termini di accuratezza, terribile”.

I social network giocano, per il fondatore di Wikileaks, un ruolo fondamentale nella nuova era dell’informazione: “le strutture della democrazia, i poteri delle istituzioni e le norme culturale vivono in equilibro con il flusso di informazioni; quando questo cambia, le altre parti della società devono cambiare a loro volta per ottenere un nuovo equilibro, ma prima di ciò, vi è un momento di squilibrio; l’elezione di Donald Trump è uno di questi.”

Sul neo-eletto presidente americano, Julian Assange dichiara che “non è un politico di professione, ma un politico allo sbaraglio, dunque non è difficile che dica cose contradditorie, offensive o facili da mettere fuori contesto.” Trump perseguirà Wikileaks come i suoi predecessori? Il giornalista risponde che “non si illude” sul fatto che Trump gli renderà la vita facile. Assange, a sua volta, diffonderà documenti compromettenti su Trump? Ci sono due fatti di enorme interesse per Wikileaks: la presenza di tre ex funzionari di Goldman Sachs nel suo governo, una circostanza simile a quanto accadde con Obama nel 2008, quando si scoprì che molte delle persone vicine al presidente erano legate all’istituto Citibank; e il conflitto tra Trump e la CIA, che ” creerà dissidenti e informatori da entrambe le parti”

Assange non ha dubbi sul fatto che, come Wikileaks ha avuto un ruolo determinante nell’informazione l’anno passato, così il 2017 sarà, testualmente, un anno di grandi temi: “Aspettatevi delle belle rivelazioni su Google. Abbiamo tantissimo materiale in arrivo, e non voglio dirvi cosa uscirà per primo. In realtà, sarete sorpresi, ma io stesso non lo so. Dipende dai temi trattati dai media, o se qualche governo o azienda attira di più la nostra attenzione”.

(di Federico Bezzi)