La trappola dell’Italicum per non far votare gli italiani

L’Italicum, ovvero la legge elettorale creata dal governo Renzi, è passata al vaglio della Consulta per risolvere il delicato intreccio legislativo che – dopo l’esito del Referendum del 4 dicembre scorso e delle successive dimissioni di Matteo Renzi – non ha permesso di indire nuove elezioni.

La sentenza della Corte Costituzionale ha decretato l’incostituzionalità del doppio turno previsto dall’Italicum, mentre ha lasciato invariato il corposo premio di maggioranza assegnato al partito o alla coalizione che raggiunge almeno il 40% dei voti.

Nel dettaglio avremo, a Palazzo Madama, un sistema proporzionale puro con una soglia su base regionale dell’8%, sia per le coalizioni che per i partiti che correranno da soli, mentre sarà del 3% per i partiti facenti parte di una coalizione specifica. Il Collegio elettorale avrà ampiezza regionale e la preferenza sarà unica.

Alla Camera, invece, è previsto un premio di maggioranza – per la lista , ma non per la coalizione – che superi il 40% dei consensi. Qualora nessuna lista raggiungesse tale percentuale si passerebbe alla ripartizione proporzionale dei seggi tra tutti i partiti che hanno superato la soglia minima del 3%. Per quanto concerne le preferenze, l’elettore potrà esprimerne due, purché siano un uomo e una donna, altrimenti potrà esprimerne una sola. Infine ci si potrà candidare come capolista in più Collegi, massimo in dieci; nel caso si venisse eletti in più collegi, verrà sorteggiato tra questi quello in cui il candidato verrà effettivamente dichiarato eletto.

Quello che emerge dalla sentenza è la “disomogeneità” tra le modalità di elezione dei due rami del Parlamento: al Senato un sistema proporzionale cosiddetto “puro”, mentre alla Camera no, data la presenza del premio di maggioranza. A tal proposito il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha esortato il Parlamento a svolgere un’azione di “omogeneizzazione” dei due sistemi, lasciando intendere che sarà necessario il passaggio parlamentare affinché il Paese abbia una Legge elettorale che possa disciplinare le elezioni.

Quindi, in buona sostanza, non si scioglieranno le Camere prima che il Parlamento non metta mani alla legge fornita dalla Consulta; ciò allontana di molto la possibilità concreta di elezioni e – ancora una volta – l’esercizio della democrazia in questo Paese.

Chissà perché Mattarella, ora tanto attento all’omogeneità del sistema, non ha sollevato remore al governo Renzi quando quest’ultimo approvava l’Italicum, benché non fosse stata ancora confermata la riforma costituzionale su cui esso si basava. Questo avrebbe permesso al Paese di avere un sistema con cui andare al voto dopo le dimissioni del premier; e qui inizia la puzza di bruciato.

Il fatto di non aver avuto tale lungimiranza creava, all’alba del 5 dicembre e dopo l’esito del Referendum sulla Riforma Renzi-Boschi, due possibilità.

Qualora avesse vinto il “Sì” e quindi la Riforma fosse stata approvata dagli elettori, avremmo avuto una legge elettorale adeguata alla nuova configurazione della “macchina politica”, che fondamentalmente passava da un sistema bicamerale ad uno unicamerale, con la sola Camera dei deputati eletta direttamente dal popolo. Quindi un sistema in grado di disciplinare le modalità di elezione del Parlamento che avrebbe garantito – in qualsiasi momento – le “regole del gioco” nel caso in cui, per qualsiasi ragione, fossero state necessarie nuove elezioni politiche.

Al contrario (ovvero nel caso che poi si è palesato con la vittoria schiacciante del “No”) avremmo avuto una legge elettorale inutilizzabile, in quanto non applicabile al vecchio sistema, ma solo in quello bocciato e proposto dalla Riforma Renzi-Boschi.

Ecco perché gli italiani – dopo le dimissioni di Renzi e dopo che, attraverso la straordinaria partecipazione popolare, hanno espresso la loro “sfiducia” al terzo Governo “calato dall’alto”- hanno dovuto comunque subirne un quarto.

Un ulteriore governo – è bene ricordarlo – figlio di un Parlamento eletto con una legge definita incostituzionale dalla Consulta, la cui fiducia è stata accordata dagli stessi parlamentari che hanno fallito altre due volte con i governi Letta e Renzi; un Parlamento che, in barba al buon senso, non ha voluto e non vuole ammettere innanzitutto la propria inclinazione al fallimento e che – in seconda, ma non meno importante analisi – non vuole prendere atto di non essere più in grado di adempiere alla sua funzione cardine, ovvero quella di rappresentanza del Paese.

La sua composizione politica – oggi – non corrisponde affatto a quella dei diversi “animi politici” presenti nella Nazione; ciò permette a partiti e personaggi politici che scomparirebbero l’indomani mattina – se solo si votasse – di decidere ancora le sorti dell’Italia.

Il dubbio che questa situazione sia stata premeditata è più che lecito. Appare evidente che l’Italicum sia nato col chiaro intento di permettere lo scioglimento delle Camere e quindi nuove elezioni solo e soltanto se avesse vinto il “Sì” e quindi se la Riforma fosse stata approvata.

In tal caso – potete starne certi – Renzi avrebbe presentato le sue dimissioni portando il Paese al voto, in modo da riconfigurare l’assetto politico secondo quanto dettato dalla Riforma, raccogliendo i frutti del suo lavoro e beneficiare del nuovo sistema.

In caso di vittoria del “No”, invece, gli italiani non avrebbero potuto votare e l’unica soluzione sarebbe stata la nascita di un nuovo Governo frutto di consultazioni parlamentari, riuscendo così a scongiurare la dissoluzione di quella che è – di fatto – un’oligarchia dei partiti serva dell’alta finanza, della banche e dell’Unione Europea.

(di Carmine Savoia)