Bufale, FakeNews e “post verità”

Lo scorcio finale dell’anno terminato ha visto scatenarsi una grande bagarre intorno al dibattito inerente la veridicità delle notizie di cronaca in circolazione sul web, o comunque veicolate da canali generalmente considerati di “Serie B” rispetto ai media tradizionali, i quali vengono invece convenzionalmente accettati dal comune sentire come aprioristicamente degni di attendibilità.

Sotto attacco sono finiti blog di controinformazione, piattaforme indipendenti e contenitori non allineati alle “versioni ufficiali”. Non è necessario possedere un quoziente d’intelligenza superiore alla media per rendersi conto di quanto, in buona sostanza, sia stata messa in atto una imponente strategia volta a rendere la vita il più difficile possibile a tutte quelle voci che mostrino di non appartenere ad alcuna specifica parrocchia.

Così come, del resto, arricciare il naso di fronte alle ricostruzioni degli eventi di pubblico dominio offerte dai notiziari delle 20.00 o dai quotidiani a maggior tiratura non significa obbligatoriamente appartenere alla famigerata categoria dei complottisti. Gli osservatori più attenti non potranno che domandarsi dove vada ricercata la motivazione di tale offensiva. Perché si è arrivati a tanto?

Da che se ne abbia ricordo l’universo della comunicazione – tanto politica quanto ideologica, relativa alla cultura di massa – è da sempre sotto influenza di lobbies e gruppi di pressione, non è un caso se multinazionali legate al mondo dell’informazione e consorterie editoriali varie siano arrivate ad assurgere al ruolo di “Quarto potere”.

Eppure, prima d’ora mai si era registrata una simile levata di scudi, una caccia all’untore talmente condivisa a livello internazionale da tracimare nell’edificazione di organismi con valenza istituzionale ai quali affibbiare la patente di Custodi della Verità.

Compagini che, guarda caso, risultano essere finanziate dai soliti padroni del vapore (i riferimenti all’“International Fact-Checking Network” ed a George Soros sono puramente casuali). Sappiamo che oggi la rete ha creato delle condizioni tali per cui smascherare le menzogne quotidianamente vomitate dalle agenzia di stampa ritenute affidabili sia divenuta un’operazione piuttosto semplice.

Le testimonianze audiovisive possono viaggiare in tempo reale da un angolo della terra all’altro: chiunque, avvalendosi di un account personale può, tramite Twitter, Facebook o Youtube rendere noto e condividere con centinaia di migliaia di persone ciò che accade davanti ai propri occhi.

Così, solo per attenerci alle questioni di più recente interesse, abbiamo assistito alle fantastiche celebrazioni natalizie cui i nostri fratelli siriani davano vita in quel di Aleppo, mentre il “Corriere della Sera” a firma Andrea Riccardi – non certo l’ultimo garzone di bottega a disposizione della redazione – il 23 Dicembre titolava “Il Natale perduto dei cristiani di Aleppo”.

E che dire degli arresti eseguiti dalle autorità egiziane a Port Said nei confronti di alcuni individui intenti ad immortalare degli scatti tra le rovine della città con i quali avrebbero voluto inscenare le presunte atrocità commesse dai soldati russi in Siria, scritturando per realizzare il tutto anche diversi bambini? Un infinito squallore. Questi sono solamente i primi “indizi” rintracciabili, ma la lista è davvero sterminata.

Ecco, appare così evidente quanto il rischio corso dai grandi manipolatori della realtà sia oramai divenuto troppo importante per essere affrontato, non è neanche lontanamente immaginabile mettere in campo un’opera di prevenzione e bonifica sufficientemente vasta da poter abbracciare ogni potenziale fonte, fonticina o fontucola in giro per il globo terracqueo. Indi per cui ai padroni del vapore di cui sopra non rimarrà altra soluzione se non dare avvio ad una censura totale, chi c’è c’è e chi non c’è non c’è, sotto a chi tocca, non si fanno prigionieri.

Ed eccoci arrivati, stiamo pian piano entrando nell’era della post-verità, e certo non potremmo dire di non essere stati avvertiti, da decenni infatti riceviamo indicazioni chiare, inequivocabili. Abbiamo invaso e devastato l’Iraq perché Saddam Hussein disponeva nel proprio arsenale privato di un ingente quantitativo di armi di distruzione di massa, balcanizzato la Libia poiché Mu’ammar Gheddafi, novello Fiorenzo Bava-Beccaris, vantava tra gli hobbies praticati quello di bombardare dei civili inermi, e disintegrato la Siria a causa della protervia esercitata da Bashar al-Assad Assad, quel gran cattivone, dimostratosi così poco avvezzo alla civile concorrenza politica che il grande gioco democratico prevede.

Ecco come stanno le cose nel fantastico universo della bufala istituzionalizzata, ed attenzione a mettere in dubbio queste inconfutabili evidenze storiche, potreste divenire il prossimo bersaglio della nuova psicopolizia di regime.

(di Giovanni Rita)