45 anni senza Skydog

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Il mito di Skydog Duane Allman deriva dal suo non essersi lasciato condizionare dall’egocentrismo, in un’ottica di realizzazione di quel qualcosa che andasse oltre “il singolo”, quindi che fosse addirittura più grande di lui. Gli Allman Brothers, in tal senso, ne sono l’esempio perfetto.

A decenni dalla sua scomparsa (avvenuta il 29 ottobre 1971), la storica band Southern è stata perfettamente in grado di “superare il trauma”, soprattutto grazie alla presenza eccellente e nobiliare di figure quali Warren Haynes e Derek Trucks, nipote di Butch Trucks ed erede naturale di Skydog per quanto concerne la tecnica (insuperabile) allo slide: oltre ad essa, si riescono a distinguere e a sentire perfettamente la sua ispirazione, il suo carisma, segno del grande lavoro di coesione da lui compiuto.

Tutto il contrario di band a lui contemporanee quali Cream e Jimi Hendrix Experience che, in seguito all’abbandono di Eric Clapton (nella prima) e la morte del West Coast Seattle Boy (nella seconda), non sono più state in grado di trovare una loro dimensione, data la visione musicale narcisistica, egocentrica e tutta concentrata su una sola persona.

Tuttavia, agli inizi, il percorso artistico di Duane Allman stava prendendo questa piega; quando Phil Wanden lo scoprì nel 1968, mettendolo immediatamente sotto contratto, il progetto era di creare un trio, la Duane Allman Band, la quale, come si intuisce dal nome, sarebbe dovuta essere esclusivamente di supporto alle magie chitarristiche e alle inventive di Skydog.

Furono gli ingaggi di Thom Doucette all’armonica e Richard “Dickey” Betts alla seconda chitarra ad evitarlo. Il sodalizio con il secondo per Duane Allman fu di vitale importanza; gli permise infatti di dividere le parti solistiche durante i live o in fase di registrazione – cosa mai vista prima all’epoca – e, soprattutto, di ricercare nuove e più affascinanti esplorazioni chitarristiche, dati i fraseggi estremamente melodici provenienti dalle dita di Dickey Betts.

Esplorazioni che trovano piena concretezza in album quali Idlewild South (1970) e in live quali At Fillmore East (1971), dove a colpire non sono più di tanto gli assoli (Blue Sky su tutti, eseguito e registrato da Allman con una Gibson Les Paul) quanto le ritmiche che i due erano stati in grado di concepire.

Tralasciando l’eccellente lavoro in Layla and Other Assorted Love Songs dei Derek & The Dominos e nella versione di Hey Jude di Wilson Pickett (soulman da 90, alla stregua di Barry White e Stevie Wonder) il genio di Duane Allman si riscontra nella sua insuperabile tecnica allo slide (scuola Elmore James, udibile alla perfezione in un classico di Taj Mahal da lui riadattato, Statesboro Blues) tanto da essere stato addirittura in grado di rivoluzionarne la concezione , aggiungendo alla bottiglietta vuota di Coricidin – farmaco con proprietà decongestionanti – un feeling unico che donava scie melodiche, a tratti toccanti, alle timbriche viscerali e dure dei vari Gregg Allman e Butch Trucks, figure portanti della band di Jacksonville.

Il mito di Duane Allman, l’anniversario della morte (o della nascita) di Jimi Hendrix e Stevie Ray Vaughan; luoghi nostalgici nei quali rifugiarsi per allontarsi dal degrado culturale odierno.

(di Davide Pellegrino)

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